Comunque vada la partita del governo, il Movimento 5 stelle vuole portare a casa l’abolizione dei vitalizi dei parlamentari. E la vuole subito, immediatamente. Come primo atto della nuova Camera. Per ottenerla, infatti, secondo i pentastellati, non è necessaria una legge ma sarebbe sufficiente una delibera dell’ufficio di presidenza, organo che si costituisce nella seconda seduta della nuova legislatura dopo l’elezione dei presidenti. Senza attendere dunque né la formazione del governo, né la successiva costituzione delle commissioni. Con una tempistica serrata e un presidente della Camera M5s anche prima di Pasqua, o poco dopo. Nel 2013, all’inizio della nuova legislatura, la prima riunione dell’ufficio di presidenza fu convocata a un mese dalle elezioni, una settimana dopo l’elezione di Laura Boldrini, più di un mese prima della nascita del governo Letta. Oggi si è chiuso il primo giro di incontri con tutte le forze politiche promosso dai 5 stelle in vista dell’elezione dei presidenti delle Camere e il capogruppo in pectore dei pentastellati al Senato, Danilo Toninelli, ha spiegato, che insieme alla presidente in pectore dei deputati M5s Giulia Grillo, “ha anche parlato con tutte le altre forze politiche, anche più piccole, della questione della completezza dell’ufficio di presidenza di Camera e Senato formati da vicepresidenti, tesorieri e segretari che svolgono funzioni importanti. Lo abbiamo fatto perché rispettiamo la democrazia, l’esito del voto e le prassi costituzionali. Vogliamo che gli uffici di presidenza prendano le decisioni più attese dai cittadini che ci hanno dato un voto netto di cambiamento a partire dall’abolizione dei vitalizi che si potrà fare proprio all’interno degli uffici di presidenza”.
E proprio con questo obiettivo i 5 stelle hanno chiesto alle altre forze politiche la presidenza della Camera: “Vogliamo che la Camera sia il luogo in cui si parta con la delibera sui vitalizi perché riguarda un maggior numero di ex parlamentari che hanno questo odioso privilegio”. Secondo il piano M5s la terza carica dello Stato pentastellata convocherebbe in tempi brevissimi, anche prima di Pasqua, l’ufficio di presidenza appena costituito con all’ordine del giorno una delibera che, viene spiegato, sostanzialmente riprende i contenuti della legge Richetti, approvata a Montecitorio nella legislatura appena chiusa ma poi affossata al Senato. Il testo stabiliva di abolire gli assegni vitalizi (superati dal primo gennaio del 2012 e dunque in vigore solo per chi è stato parlamentare prima di quella data) e i trattamenti pensionistici dei titolari di cariche elettive e di sostituirli con un trattamento previdenziale basato sul sistema contributivo vigente per i lavoratori dipendenti delle amministrazioni statali. La legge Richetti si applicava ai parlamentari in carica, ai parlamentari futuri e agli ex.
Esattamente l’obiettivo dei 5 stelle: ovvero portare alla stregua delle pensioni dei cittadini comuni quelle che invece i parlamentari oggi possono ottenere a 65 anni con soli 4 anni e 6 mesi di legislatura. Una battaglia che il Movimento ha portato avanti anche l’anno scorso senza esito: dal primo marzo 2017 sul blog di Beppe Grillo ha campeggiato un countdown per l’approvazione della delibera in ufficio di presidenza entro il 15 settembre, giorno in cui i parlamentari della XVIII legislatura hanno maturato la pensione. Nella scorsa legislatura il braccio di ferro con il Pd fu sostanzialmente di metodo. Per i dem le nuove norme dovevano essere approvate per legge, secondo i 5 stelle bastava una semplice delibera: nel 2012, era ed è il loro ragionamento, fu una delibera dell’ufficio di presidenza a stabilire il superamento dell’istituto dell’assegno vitalizio vigente fin dalla prima legislatura del Parlamento repubblicano e l’introduzione di un trattamento pensionistico basato sul sistema di calcolo contributivo, sostanzialmente analogo a quello vigente per i pubblici dipendenti. “Auspichiamo – dicono oggi Toninelli e Grillo – che anche le altre forze politiche siano pronte al cambiamento chiesto dai cittadini con il voto del 4 marzo”.