A Bruxelles Consiglio europeo: Brexit, Clima, Esteri e Coronavirus in agenda

15 ottobre 2020

Si svolge oggi e domani a Bruxelles un Consiglio europeo “importante ma interlocutorio”, come lo ha definito stamattina una fonte diplomatica. L’Italia sarà rappresentata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Il vertice è iniziato oggi alle 15 con il tradizionale intervento del presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, e andrà avanti poi con una discussione sul negoziato Brexit, fino alla fine della cena di lavoro di stasera, dedicata alle politiche contro il cambiamento climatico, per poi riprendere domani mattina alle 9 con la politica estera, cominciando con le relazioni con l’Africa. L’ultimo punto in agenda riguarderà la pandemia di Covid-19, e in particolare la recente raccomandazione del Consiglio Ue per coordinare meglio le misure prese dagli Stati membri che hanno impatto sulla libera circolazione delle persone nell’Ue, e le ultime iniziative della Commissione sui vaccini.

Pur non essendo in agenda, è difficile che non venga sollevato (in particolare da Sassoli) anche il punto delle attuali difficoltà nel negoziato fra il Consiglio Ue e il Parlamento europeo del bilancio pluriennale comunitario 2021-2027, e nelle trattative interne al Consiglio sulla ratifica dell’aumento del tetto delle “risorse proprie”, una precondizione per dare attuazione al Recovery Fund. I due punti controversi in questi negoziati, come si sa, sono la richiesta del Parlamento europeo di aumentare considerevolmente (di 39 miliardi di euro nell’ultima proposta) le risorse per alcuni “programmi-faro” del bilancio pluriennale, e la clausola del rispetto dello Stato di diritto (“Rule of Law”) come condizione che i paesi membri devono rispettare per accedere ai fondi Ue. Si tratta di un vertice importante perché comunque dovrebbe servire a preparare la strada su almeno due questioni di grande rilevanza per il futuro dell’Ue: il negoziato Brexit, ancora largamente in stallo e che è necessario “intensificare”, e le politiche climatiche, che vedono una vistosa accelerazione, con obiettivi più ambiziosi proposti dalla Commissione che hanno il sostegno di gran parte, ma non ancora di tutti gli Stati membri.

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Ma anche interlocutorio, perché non è attesa nessuna grande decisione, al contrario di quanto si pensava l’estate scorsa, quando si era ipotizzato che proprio questo Consiglio europeo avrebbe potuto prendere atto di un eventuale “landing zone”, un terreno di accordo sulle relazioni future con il Regno Unito. Non manca, comunque, qualche segnale positivo nel negoziato con Londra, un particolare su due dei tre punti cruciali di maggiore divergenza: il “level playing field” (le pari condizioni) per quanto riguarda le norme sulla concorrenza e gli aiuti di Stato, e la “governance”, ovvero il meccanismo di risoluzione di eventuali controversie nell’attuazione degli eventuali futuri; resta invece il muro contro muro nel terzo punto: la pesca. Secondo la bozza di conclusioni del Consiglio europeo sul negoziato Brexit, i capi di Stato e di governo dovrebbero rilevare “con preoccupazione” che “i progressi compiuti non sono ancora sufficienti”, e invitare il negoziatore capo dell’Ue Michel Barnier “a intensificare i negoziati” per cercare di raggiungere un accordo entro la fine di ottobre.

La discussione comincerà con una relazione di Barnier sullo stato dell’arte del negoziato e sui suoi possibili sviluppi. In sostanza, bisogna fare di tutto per arrivare a un’intesa nei prossimi 15 giorni, ma senza modificare il mandato negoziale di Barnier (particolarmente rigido sulla pesca, che è diventato ormai l’ostacolo più importante), e allo stesso tempo mantenendo aperta l’ipotesi di una possibile uscita del Regno Unito dal mercato unico senza accordo il primo gennaio prossimo. E siccome questa possibilità è reale, la Commissione deve predisporre delle misure di emergenza, in particolare nel settore dei trasporti. Non è previsto un Consiglio europeo straordinario il mese prossimo per prendere atto della situazione – riconoscere il fallimento dei negoziati o suggellare un eventuale terreno d’intesa – ma è in agenda un vertice Ue informale a Berlino a metà novembre dedicato alla Cina e alle elezioni in Usa, e quella potrebbe essere l’occasione. Quello che comincia a emergere come possibile quadro di compromesso sul “level playing field” sarebbe un impegno da parte di Londra a varare norme nazionali sulla concorrenza molto stringenti (invece dell'”allineamento” puro e semplice alle norme Ue, originariamente richiesto dai Ventisette), e ad accettare un meccanismo di “governance” con un organismo di risoluzione delle controversie abilitato a prendere decisioni vincolanti; e si parla anche di una sorta di “freno d’emergenza” che l’Ue potrebbe attivare in casi di concorrenza sleale da parte britannica.

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Ma resta il problema della pesca, dove in realtà l’Ue sostiene unita le esigenze di un solo paese, la Francia, che chiede di mantenere anche dopo la Brexit lo “status quo ante”, ovvero la situazione attuale in cui i pescatori dell’Unione possono operare nelle acque di competenza economica britannica senza limiti (a parte quelli propri della Politica comune europea nel settore). Londra, invece, prevede di riacquistare il pieno controllo sovrano delle sue acque territoriali e della zona economica esclusiva al largo delle sue coste, e offre semmai di negoziare con l’Ue di volta in volta delle quote annuali di pesca per i pescatori francesi. Un ammorbidimento della posizione negoziale europea (ma in realtà soprattutto francese) sulla pesca potrebbe favorire il compromesso sugli altri due nodi (concorrenza e governance) che stanno a cuore a tutti gli Stati membri e sono essenziali per la salvaguardia del mercato unico; ed è su questo che giocano i britannici per cercare, finalmente, un’incrinatura nell’unità granitica dei Ventisette. D’altra parte, in caso di mancato accordo, i pescatori francesi non avrebbero nulla, né le quote di pesca in acque britanniche limitate e da rinegoziare ogni anno, né tanto meno lo “status quo ante”.

La discussione dei leader sul clima partirà dalla recente mossa della Commissione europea di proporre un aumento dello sforzo per la riduzione delle emissioni dell’Ue al 2030, portandolo “almeno al 55%”, dal 40% inizialmente previsto (rispetto al 1990), coerentemente con l’obiettivo della “neutralità climatica” fissato dallo stesso Consiglio europeo nel dicembre scorso, e con gli impegni dell’accordo di Parigi al livello Onu. Non è in agenda oggi un accordo sul nuovo obiettivo del 55%, accordo che si prevede dovrebbe essere sottoscritto al Consiglio europeo di dicembre. La discussione aperta non è tanto sul 55%, ma su come arrivare all’obiettivo; che comunque, va sottolineato, è stato fissato per l’Unione nel suo insieme, non per singoli paesi membri. Il Parlamento europeo, invece, ha chiesto recentemente di aumentare lo sforzo di riduzione al 60% nel 2030 e di fissare lo stesso obiettivo anche a livello nazionale per tutti gli Stati membri. Ma la proposta della Commissione è basata su uno studio d’impatto economico complessivo a livello Ue e non dei singoli paesi. Entro giugno, la Commissione presenterà le proposte legislative per gli emendamenti a tutti gli obiettivi settoriali (produzione di elettricità da fonti rinnovabili, efficienza energetica, borsa delle emissioni Ets etc), necessari per arrivare al target del 55%.

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Ieri i leader di 11 paesi (Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Irlanda, Lettonia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna e Svezia) hanno firmato una dichiarazione di forte sostegno alla proposta della Commissione sull’obiettivo del taglio delle emissioni “almeno al 55%” nel 2030. L’Italia non ha aderito alla dichiarazione, a quanto si è appreso a Bruxelles, non perché non ne condivida il contenuto, ma perché avrebbe preferito fare uno sforzo per coinvolgere anche gli altri Stati membri meno entusiasti (in particolare i paesi dell’Est e i mediterranei Grecia, Malta e Cipro), ed evitare contrapposizioni. Infine, è probabile che proprio a margine del Consiglio europeo l’Italia (oltre a Conte, per il governo sarà a Bruxelles anche il ministro degli Affari europei Vincenzo Amendola) presenti oggi alla Commissione le grandi linee del suo piano nazionale di riprese e resilienza, con i progetti di investimenti e riforme che si prevede di finanziare con il Recovery Fund. askanews

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