Cultura e Spettacolo

OGR, l’arte come pratica in dialogo e come costante cambiamento

Un collettivo artistico in costante dialogo, sia al proprio interno sia verso l’esterno, che propone una pratica aperta, che parte dagli oggetti comuni per arrivare a nuove forme di contenuto. Alle Officine Grandi Riparazioni di Torino è stata inaugurata la mostra “Forgive me, distant wars, for bringing flowers home”, dedicata al lavoro di Ramin Haerizadeh, Rokni Haerizadeh e Hesam Rahmanian, artisti di origine iraniana ora attivi a Dubai.

“Noi siamo in tre – ha spiegato ad askanews Rokni Haerizadeh – e ciascuno di noi ha dei momenti individuali: poi ci confrontiamo e si prende una direzione. A noi piace coinvolgere anche altre persone, talvolta sono artisti, talvolta sono solo delle persone che invitiamo a prendere parte alla nostra pratica. Vale anche per il pubblico, spesso vogliamo che sia attivo e che svolga un ruolo principale”. La filosofia del gruppo è ben riassunta in questa postura iniziale, che poi si declina attraverso diverse tipologie di lavoro e diversi esiti, che negli ampi spazi delle OGR è possibile scoprire: dal video alla scultura, dagli oggetti trovati agli interventi pittorici su fotografie di attualità. E questi più piccoli pezzi, apparentemente meno maestosi di altri grandi lavori, sono però carichi di intensità.

“Le immagini nei nostri giorni – ha aggiunto Ramin Haerizadeh – invadono continuamente la nostra privacy e questo per noi è una buona materia prima per cominciare a giocare. Una che potremmo chiamare una nostra strategia, è quella di creare una distanza rispetto all’immagine reale, e lo facciamo dipingendoci sopra. In questo modo la pittura diventa una sorta di intermediario tra lo spettatore e l’immagine o l’evento che questa descrive. E’ la tecnica dell’alienazione, che Brecht ha portato nel teatro: prendendo le distanze è possibile dare allo spettatore una sorta di contesto nel quale lui può decidere cosa pensare, non siamo noi a forzarlo”.

La realtà che fa da sfondo a tutti i lavori del trio viene usata come materia prima, viene opacizzata, per arrivare poi a quel livello di chiarezza artistica che, quando funziona, diventa semplicemente scoperta, evidenza. Ma un’altra caratteristica del lavoro dei tre artisti è la costante messa in discussione, non solo degli approcci, ma perfino delle stesse opere. “I cambiamenti – ha concluso Hesam Rahmanian – succedono di continuo, quando abbiamo cominciato a scoprire questo spazio i pensieri e le cose si sono messi in movimento. In genere nella nostra pratica, e per esempio nello specifico di questa mostra, quando un’esposizione finisce noi non pensiamo mai di avere fatto un capolavoro che non deve più essere modificato, noi cominciamo a immaginare come cambiarlo continuamente. Molti dei pezzi in mostra erano già stati esposti, ma qui ora sono diversi, li abbiamo modificati. E’ un processo”. Un processo che si svela di continuo, anzi un processo che è la pratica. Forse questo è il punto di sintesi cui si può arrivare pensando a una mostra comunque complessa. Curata da Abaseh Mirvali, resta aperta al pubblico a Torino fino al 30 settembre.[irp]

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redazione