E’ stato condannato all’ergastolo, Alberto Cubeddu, 22enne di Ozieri (Sassari), accusato del duplice omicidio di Gianluca Monni e Stefano Masala, commesso tre anni fa. Per il giovane e’ stato stabilito anche l’isolamento diurno per otto mesi. La pubblica accusa aveva chiesto il carcere a vita e un periodo di isolamento di due anni. La sentenza e’ stata pronunciata oggi, in un’aula colma di tensione, dalla corte d’assise di Nuoro, dopo una lunga camera di consiglio in un luogo protetto. Mentre i suoi familiari esplodevano in urla e lacrime di disperazione, l’imputato ha ascoltato impassibile la sentenza per poi scambiare qualche parola coi suoi avvocati, anche quando il padre di Stefano Masala, il cui corpo non e’ mai stato trovato, gli gridava: “Ora dimmi dov’e’ mio figlio”.
La famiglia Monni, invece, ha mantenuto il silenzio. Secondo quanto emerso dalle indagini, Cubeddu – difeso dagli avvocati Patrizio Rovelli e Mattia Doneddu – avrebbe ucciso il 19enne, Gianluca Monni assassinato l’8 maggio 2015 a Orune, freddato a colpi d’arma da fuoco sparati da un’auto mentre aspettava l’autobus per andare a scuola. L’imputato avrebbe agito assieme al cugino Paolo Enrico Pinna, minorenne all’epoca dei fatti e gia’ condannato, in due gradi di giudizio, a 20 anni di reclusione.
La vittima era stata raggiunta da una fucilata in pieno volto. I due cugini avrebbero anche eliminato Stefano Masala, 28enne di Nule (Sassari), scomparso la sera prima del delitto Monni e mai piu’ tornato a casa. Secondo gli inquirenti, Masala sarebbe stato sequestrato dai due cugini – finiti poi alla sbarra – per essere rapinato dell’auto con cui il giorno successivo e’ stato compiuto l’omicidio dello studente di Orune. Masala sarebbe poi stato ucciso per far ricadere la responsabilita’ su di lui. La difesa di Cubeddu aveva chiesto l’assoluzione. “Non ho ucciso nessuno, non avevo motivo di fare del male a nessuno”, aveva detto l’imputato mercoledi’ ai giudici, rivolgendosi alla Corte d’assise di Nuoro per rilasciare dichiarazioni spontanee.
I giudici non gli hanno creduto, evidentemente convinti da quella che l’avvocato di parte civile, Antonello Cao (che nel processo rappresentava Salvatore Monni, il padre dello studente ucciso alla fermata del bus), chiama “convergenza del molteplice”: tutti gli indizi finivano per portare all’imputato. “Non vogliamo vendetta ma giustizia”, aveva dichiarato il legale della famiglia Monni qualche giorno fa, nella sua arringa davanti alla Corte.
CONDANNATO ANCHE UNO ZIO. La corte d’assise di Nuoro ha condannato a due anni di reclusione Francesco Pinna, zio dell’imputato, accusato di aver minacciato uno dei super testimoni del processo. Pinna, difeso dall’avvocato Agostinangelo Marras, avrebbe fatto pressioni su Alessandro Taras per fargli ritrattare le dichiarazioni con le quali asseriva di aver assistito all’incendio dell’auto di Masala, appiccato da Cubeddu. Per lui il pm aveva sollecitato una condanna a due anni e otto mesi di reclusione, ma la corte ha derubricato l’accusa in tentata induzione a non testimoniare riducendo la condanna a due anni.
TRE ANNI FA I DELITTI PREMEDITATI. L’8 maggio 2015 la Sardegna si era risvegliata in un incubo di sangue: Gianluca Monni – studente di 19 anni di Orune (Nuoro) – era stato freddato con un colpo di fucile alla fermata dell’autobus, in paese. Prima di andare a scuola. Una storia terribile che avrebbe riservato lunga serie di sconcertanti colpi di scena, come quello di una strana sparizione. Pochi giorni dopo il delitto, dalla stessa zona, si era diffuso un allarme: Stefano Masala non si trovava piu’. Un ragazzo tranquillo, come sempre lo hanno definito parenti e amici, che era uscito di casa la sera del 7 maggio e non vi aveva piu’ fatto ritorno. Era scomparso proprio il giorno prima del delitto Monni: una coincidenza di tempi che non poteva non mettere in allarme gli inquirenti.
La svolta investigativa era arrivata circa un mese dopo. Il cerchio si era stretto attorno a due giovanissimi: l’allora 17enne Paolo Enrico Pinna e suo cugino Alberto Cubeddu, 19 anni. I tasselli messi assieme dagli investigatori hanno poi ricostruito una vicenda a tinte fosche: nel dicembre antecedente il delitto, durante la manifestazione “Cortes Apetas” Pinna aveva rivolto pesanti apprezzamenti alla fidanzatina di Monni. Quest’ultimo era intervenuto per difenderla ma si era ritrovato una pistola puntata alla faccia. Monni pero’ non era solo: il suo gruppo di amici orunesi aveva disarmato e pestato Pinna. I giorni successivi, il padre del ragazzo era stato dalla famiglia Monni per richiedere che l’arma gli venisse restituita. La vicenda sembrava chiusa li’.
Ma l’odio di Pinna sarebbe stato innescato da una filastrocca in sardo fatta girare su una chat, interpretata come uno sberleffo nei suoi confronti. Questo, per gli inquirenti, avrebbe armato la mano del 17enne che, con l’aiuto del cugino, avrebbe architettato la vendetta. I due avrebbero attirato Masala in una trappola: lo avrebbero prima rapito per rubargli l’auto e poi ucciso e fatto sparire per far ricadere su di lui ogni responsabilita’. Pinna, sempre difeso da sua madre nonostante gli atteggiamenti aggressivi nei suoi confronti, e’ gia’ stato condannato – in due gradi di giudizio – a 20 anni di carcere dalla giustizia minorile. Durante la detenzione ha cercato di evadere, ma e’ stato individuato e arrestato di nuovo poco dopo. Oggi la condanna del cugino Alberto Cubeddu.