Omicidio di Maria Chindamo, pentito: “Uccisa, schiacciata col trattore e data ai maiali”
Sarebbe stata uccisa ed il suo corpo dato in pasto ai maiali o macinato con un trattore Maria Chindamo, l’imprenditrice 44enne scomparsa il 6 maggio del 2016 nelle campagne di Limbadi (Vibo Valentia). A rivelarlo alla Dda di Catanzaro è stato il collaboratore di giustizia Antonio Cossidente, ex componente del clan dei Basilischi, in Basilicata. Maria Chindamo, secondo quanto ha riferito Cossidente, sarebbe stata uccisa per punizione perché si sarebbe rifiutata di cedere un terreno a Salvatore Ascone, indagato per l’omicidio dell’imprenditrice. Le dichiarazioni di Cossidente sono state acquisite agli atti del processo per le presunte pressioni sul collaboratore Emanuele Mancuso da parte dei suoi familiari per farlo ritrattare. A raccontare a Cossidente i fatti legati alla scomparsa di Maria Chindamo sarebbe stato proprio Emanuele Mancuso, figlio del boss Pantaleone.
Il 53enne di Limbadi Salvatore Ascone, detto ‘U Pinnularo’, fu arrestato nel luglio 2019 con l’accusa di concorso in omicidio, in quanto sospettato di essere coinvolto nel sequestro di Maria Chindamo. L’uomo fu poi rimesso in libertà nell’agosto dello stesso anno per decisione del Tribunale del Riesame di Catanzaro. L’accusa per Ascone, già noto alle forze dell’ordine, era di avere partecipato al delitto dell’imprenditrice scomparsa in concorso con ignoti. Nello specifico, la Procura sospettava che avesse manomesso le telecamere di video sorveglianza della sua abitazione per evitare che riprendessero l’aggressione e il sequestro alla donna, avvenuti proprio di fronte la sua proprietà sita in contrada Carini di Località Montalto (Limbadi, Vibo Valentia).
Ed ecco perché il Riesame ha scarcerato l’unico sospettato del delitto. “L’attenzione della difesa è stata rivolta nella duplice direzione della dimostrazione che Ascone Salvatore non ha posto in essere alcuna attività di manomissione del sistema di videosorveglianza, per essere egli rimasto nella propria abitazione dalla sera del 5 maggio 2016 e fino alla mattina del giorno successivo”. Lo si legge sulle pagine di Giallo che pubblica in esclusiva le parole dei giudici del tribunale di Catanzaro. In sostanza, il Riesame ha constatato che non vi sarebbero elementi certi che provino la avvenuta manomissione, da parte di Ascone, del sistema di videosorveglianza installato nella sua abitazione. Se funzionante, quell’occhio elettronico avrebbe potuto immortalare la brutale aggressione di cui fu vittima la povera Maria.