A Montecitorio, l’ennesima fumata nera ha sancito il fallimento del tentativo di eleggere Francesco Saverio Marini alla Corte Costituzionale, una candidatura fortemente voluta dalla premier Giorgia Meloni. Per l’ottava volta, l’aula parlamentare non è riuscita a raggiungere il quorum necessario a causa dell’assenza compatta delle opposizioni. La maggioranza, pur vicina al successo, si è scontrata con la mancanza di voti, una situazione che ha spinto Meloni a ritirare il suo “se serve ci sono”, segnale che fino al pomeriggio lasciava presagire un possibile blitz istituzionale per portare a casa la nomina. Ma così non è andata.
Durante la seduta, solo 342 parlamentari sono entrati in Aula. Di questi: 323 schede bianche, 9 schede disperse e 10 schede nulle. La maggioranza ha optato per il voto di scheda bianca, riconoscendo di non avere i 363 voti necessari per eleggere Marini. Le assenze tra i deputati e senatori del centrodestra sono state minimizzate, ma ammontano a 25, inclusi membri di partiti come la Lega e Fratelli d’Italia La partita si è dunque fermata, ma solo per il momento. La premier non ha rinunciato alla candidatura di Marini, convinta che non ci sia conflitto di interessi nel proporre il suo consigliere giuridico come nuovo membro della Corte.
Meloni è pronta a rilanciare, sicura che un nome valido come quello di Marini possa passare “anche per un solo voto” e che il fallimento del voto sia solo temporaneo. Ma la sua strategia ha subito un arresto forzato, dovuto non solo al muro delle opposizioni, ma anche alla mancanza di compattezza all’interno della stessa maggioranza. L’opposizione, guidata da Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, ha scelto una linea dura: non partecipare al voto. “La nostra compattezza ha fermato la forzatura che la maggioranza voleva fare”, ha dichiarato con soddisfazione la segretaria del PD Elly Schlein, ribadendo la necessità di avviare un dialogo vero tra le forze politiche. Sullo stesso tono anche Giuseppe Conte del M5S, che ha parlato di “blitz fallito”, rimarcando come la decisione di non entrare in aula sia stata decisiva per sventare quello che ritiene un tentativo di imposizione da parte del governo.
Amarezza e frustrazione
Non sono mancate le reazioni forti da parte della maggioranza. Giovanni Donzelli, deputato di Fratelli d’Italia, ha stigmatizzato il comportamento delle opposizioni, accusandole di mancare di senso istituzionale: “Non possiamo tenere bloccata l’Italia per loro. Noi potevamo fare una forzatura e non l’abbiamo fatta, ma non possono abusarne sempre”. Parole che sottolineano l’amarezza e la frustrazione della destra di fronte all’ennesima battuta d’arresto, soprattutto perché il piano originario prevedeva di forzare la mano e chiudere l’elezione entro la giornata. Appena prima dell’ora di cena di lunedì, Meloni ha deciso di rallentare, rinunciando a proseguire con la votazione che sembrava ormai compromessa. Dopo una serie di telefonate e verifiche interne, il pallottoliere ha palesato una realtà chiara: non c’erano i numeri sufficienti per eleggere Marini. La premier ha così deciso di votare scheda bianca, preferendo rimandare la battaglia a una futura convocazione.
La strategia da adottare
Una scelta che ha scontentato alcuni esponenti della maggioranza, ma che secondo fonti vicine alla presidenza del Consiglio era inevitabile. Nonostante la battuta d’arresto, Meloni non considera la partita chiusa. Anzi, secondo indiscrezioni provenienti da Palazzo Chigi, la premier sarebbe intenzionata a riproporre il nome di Marini in occasione di un prossimo voto, che potrebbe arrivare già nelle prossime settimane. La strategia che potrebbe essere adottata è quella di avanzare gradualmente, con convocazioni periodiche, per mettere in difficoltà le opposizioni e obbligarle a rientrare nel gioco istituzionale, rispondendo anche all’invito fatto dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a luglio. Le prossime settimane saranno dunque cruciali. Palazzo Chigi deve trovare la finestra temporale giusta per rilanciare la candidatura di Marini, senza incorrere in nuovi fallimenti.
Il voto
La settimana del 21 ottobre potrebbe essere una data utile per la ripresa delle votazioni, ma bisognerà anche considerare l’agenda della premier, che sarà impegnata a Montecitorio e Palazzo Madama per le comunicazioni pre-Consiglio europeo. Votare subito prima del vertice europeo rischierebbe di dare eccessiva visibilità all’opposizione, mentre farlo successivamente potrebbe creare instabilità in un momento delicato per il governo. Oltre al timing, resta la questione dei numeri. Per eleggere Marini alla Corte Costituzionale sono necessari 8 voti in più rispetto alla maggioranza compatta, che conta attualmente 355 parlamentari. La possibilità di ottenere questi voti attraverso un accordo con il M5S non è del tutto esclusa, ma richiede una negoziazione difficile e delicata.
Meloni come Berlusconi
Inoltre, si vocifera che Meloni possa provare un’operazione simile a quella di Silvio Berlusconi, tentando di raccogliere voti sparsi tra le forze minori, come Italia Viva o il Südtiroler Volkspartei. Questo tipo di manovra potrebbe rivelarsi cruciale per portare a casa una vittoria parlamentare su Marini. C’è poi la questione interna alla maggioranza. Non è sfuggito a Fratelli d’Italia che durante la votazione alcuni parlamentari della Lega si siano dati “malati”, un fatto che ha creato tensioni interne. I vertici di FdI non hanno gradito queste défaillance e Meloni potrebbe decidere di affrontare la questione direttamente con Matteo Salvini. Un incontro tra i leader della maggioranza è previsto nei prossimi giorni, e la premier potrebbe chiedere un chiarimento su questa situazione, soprattutto in vista delle prossime battaglie parlamentari.
Meloni scommette su Marini
Per ora, l’unica certezza è che Meloni non ha intenzione di mollare sulla candidatura di Marini. La premier si è mostrata irritata per come si è svolta l’intera vicenda, soprattutto per il fatto che un accordo con il M5S era stato raggiunto, in cambio della direzione del Tg3, ma è stato compromesso dalle fughe di notizie interne. Il fallimento del voto è stato attribuito anche alle divisioni interne alla maggioranza e a quelle tra i vari gruppi parlamentari, una problematica che Meloni dovrà risolvere rapidamente se vuole assicurarsi una vittoria nelle prossime sedute. Le opposizioni, dal canto loro, stanno cercando di allungare i tempi. Secondo fonti parlamentari, il PD e il M5S puntano a far slittare la votazione fino a dicembre, quando la maggioranza sarà chiamata a nominare altri tre giudici della Corte Costituzionale.
A caccia di voti
Questa mossa potrebbe aumentare la posta in gioco e rendere la partita ancora più difficile per la destra. Tuttavia, la maggioranza si è già detta contraria a questa ipotesi, convinta che un rinvio fino a dicembre sarebbe solo un modo per alzare ulteriormente il prezzo delle trattative. Per Meloni, l’elezione di Marini è diventata una questione di principio. Con il prossimo voto, la premier spera non solo di portare a casa il suo consigliere giuridico alla Corte, ma anche di dimostrare che la sua maggioranza può tenere e superare le difficoltà interne ed esterne. Ma per farlo, dovrà riuscire a costruire una strategia efficace che le permetta di ottenere quei voti mancanti, evitando ulteriori inciampi lungo il cammino.
Intanto, la presidenza della Camera ha confermato che le votazioni continueranno con periodicità regolare, suggerendo che si potrebbe rivotare già la prossima settimana. Questo è in linea con l’invito del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a colmare un “vulnus” che persiste da dieci mesi. Tuttavia, il clima politico rimane teso e incerto riguardo alla possibilità di raggiungere un accordo su un nuovo giudice.