Due fedelissimi di Marine Le Pen figurano tra i clienti dello studio panamense Mossack Fonseca, regista di una rete di strutture offshore volta a nascondere ricchezze finanziarie da tutto il mondo. È una tegola di notevole peso politico quella caduta oggi in testa alla leader del Front National, nota per le sue invettive contro la “finanza globalizzata, che danneggia l’interesse generale della Comunità”, come diceva un anno fa commentando “Swissleaks”, inchiesta su un’enorme schema di evasione fiscale promosso dalla banca HSBC tramite la sua controllata svizzera. Secondo quanto rivelato da Le Monde, che partecipa con i suoi giornalisti all’inchiesta globale sui Panama Papers, tra quanti si sono avvalsi del servizi dello studio legale panamense figurano anche l’imprenditore Frédéric Chatillon e l’esperto contabile Nicolas Crochet, entrambi già sotto inchiesta per presunte irregolarità nel finanziamento delle campagne elettorali del partito francese di estrema destra nel 2012.
Le Monde parla di un “sistema offshore sofisticato tra Hongkong, Singapore, isole Vergini britanniche e Panama” mirato a “far uscire denaro dalla Francia attraverso società schermo e fatture false con la volontà di sfuggire al servizio antiriciclaggio francese”. Al centro della rete, Frédéric Chatillon, ex leader di un gruppo studentesco di estrema destra e amico di Marine Le Pen dai tempi dell’università, all’inizio degli Anni Novanta. La sua società, Riwal, si occupa della comunicazione elettorale del Front National, in esclusiva per le campagne presidenziale e parlamentare del 2012. Crochet ha stilato il programma economico di Le Pen per le presidenziali 2012. Chatillon, che tra l’altro è spessissimo a Roma, insieme a Crochet, nel 2012 avrebbe realizzato un giro di fatture false e società offshore per far uscire dalla Francia 316mila euro di proprietà di Riwal e reinvestirli nella società di un amico con sede a Singapore. Oltre alle ombre su Marine, lo scandalo incombe ancora più concretamente sul fondatore del Front, Jean-Marie Le Pen, che sempre secondo Le Monde tramite la società offshore Balerton Marketing Limited, creata nel segreto dei Cairabi negli anni 2000, ha nascosto un vero e proprio “tesoro”, intestato al prestanome Gerald Gerin, suo ex maggiordomo: banconote, titoli, lingotti e altri pezzi d’oro. Assieme al filone francese, novità della giornata, vari Paesi stanno facendo i conti con le declinazioni ‘nazionali’ della vicenda. In Islanda il premier Sigmundur David Gunnlaugsson si è dimesso dopo aver chiesto formalmente al presidente Ólafur Ragnar Grímsson di sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni in caso di crisi governativa, a seguito delle rivelazioni dei “Panama Papers”, che lo vedono coinvolto assieme alla moglie.
Il capo di stato ha rifiutato e il primo ministro ha rassegnato le dimissioni. Nonostante rimanga tutta da provare un’eventuale colpevolezza nel reato di frode fiscale, oltre 24mila islandesi sono scesi in piazza e hanno firmato una petizione per chiedere le dimissioni di Gunlaugsson, e l’opposizione ha annunciato di voler presentare una mozione di sfiducia entro la fine della settimana. In Gran Bretagna, il Primo ministro britannico David Cameron – intervistato sul suo patrimonio familiare, dopo che il nome del padre Ian è comparso nello scandalo dei “Panama Papers” – si è oggi difeso affermando di “non avere nessun fondo offshore”. “Non posseggo nessuna azione, nessun trust offshore, nessun fondo offshore, niente di tutto questo”, ha detto Cameron, durante una trasferta a Birmingham, rispondendo ad un giornalista che gli chiedeva se il suo attuale patrimonio di famiglia si basava ancora su questi fondi offshore. “Ho lo stipendio di Primo ministro e ho dei soldi da parte sui quali percepisco degli interessi. E ho una casa nella quale viviamo ma che al momento è affittata perché noi siamo a Downing Street ed è tutto quello che ho”, ha detto Cameron. E se a Mosca il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov è tornato a parlare di un “attacco orchestrato contro il presidente Vladimir Putin”, secondo la stampa di Stato cinese dietro i Panama Papers ci sono forze occidentali ostili e i media del Paese hanno ricevuto tout court l’ordine di evitare di riportare il coinvolgimento della famiglia del presidente Xi Jinping e dei vertici del Partito comunista nello scandalo. Mentre emerge che lo studio Mossack Fonseca ha ben otto uffici in Cina: più che in qualunque altro Paese.