Con il suo viaggio ad Abu Dhabi da domenica a martedì (3-5 febbraio) Francesco, il primo Papa della storia a visitare gli Emirati Arabi Uniti, tende una mano all’islam mondiale ed emargina i fondamentalisti che, come Jorge Mario Bergoglio ha più volte ricordato, esistono in ogni religione. Il viaggio negli Emirati Arabi Uniti, insieme a quello di marzo in Marocco, due paesi a maggioranza musulmana l’uno ad Oriente e l’altro ad Occidente, cadono ad otto secoli dall’incontro che san Francesco, il santo al quale il Papa si ispira, ebbe con sultano d’Egitto Malik al Kamil. Il dialogo con l’islam è sempre stato una priorità del suo pontificato.
Lo testimoniano i numerosi viaggi compiuti in paesi a maggioranza islamica (Giordania e Turchia nel 2014, Azerbaijan nel 2016, Egitto nel 2017, Myanmar e Bangladesh nel 2018); la determinazione con la quale ha riallacciato i rapporti con l’università al-Azhar del Cairo – interrotti all’epoca di Benedetto XVI per il suo discorso di Ratisbona – e l’amicizia che lo lega al suo grande imam Ahmad al-Tayyib (che icontrerà nuovamente ad Abu Dhabi); gesti simbolici come le famiglie di rifugiati musulmani che ha portato a Roma sul suo aereo dal campo rifugiati di Lesbo, il viaggio in papamobile con l’imam nella capitale centrafricana, l’invito ai musulmani a partecipare al Giubileo della misericordia o i ripetuti appelli per i rifugiati musulmani rohyngia; e, non da ultimo, dichiarazioni eclatanti: quando, dopo l’attentato a Charlie Hebdo, condannò l’uso della violenza in nome di Dio ma aggiunse che se un amico ‘dice una parolaccia contro la mia mamma gli aspetta un pugno’, quando, a chi gli domandava del terrorismo jihadista, ha risposto: ‘A me non piace parlare di violenza islamica, perché tutti i giorni quando sfoglio i giornali vedo violenze, qui in Italia: c`è quello che uccide la fidanzata o la suocera, e sono violenti cattolici battezzati’, o quando, appunto, dice che anche noi ‘abbiamo ‘l’onore’ di avere fondamentalisti tra i battezzati’.
Per il Papa latino-americano la mano tesa all’islam è un testo con molti sottotesti. Francesco, innanzitutto, porta avanti il dialogo interreligioso sancito dal Concilio vaticano II e portato avanti da diversi suoi predecessori, in particolare da Giovanni Paolo II. Nel nome della fratellanza universale, ma soprattutto nella fede nell’unico Dio che accomuna le tre fedi che discendono da Abramo, ebraismo, cristianesimo e islam. Un dialogo possibile non rinunciando alla propria identità religiosa o culturale, ma al contrario: ‘La fede in Dio unisce e non divide, avvicina pur nella distinzione, allontana dall`ostilità e dall`avversione’, ha detto Jorge Mario Bergoglio nel video-messaggio agli Emirati Arabi Uniti. ‘Sono felice di questa occasione offertami dal Signore per scrivere, sulla vostra cara terra, una nuova pagina della storia delle relazioni tra le religioni confermando che siamo fratelli pur essendo differenti’. Con i suoi gesti e le sue parole, inoltre, il Papa inva un messaggio di dialogo e di pace in tempi di risorgenti nazionalismi, populismi, razzismi, e di quella che ha più volte definito la ‘terza guerra mondiale a pezzi’. Se svariati leader politici, in Italia, in Europa, negli Stati Uniti, in America alzano muri, metaforici o materiali, il Pontefice – parola che significa costruttore di ponti – alza appunto ponti con le altre civiltà e fedi. Forte, peraltro, di una sensibilità diversa dai suoi predecessori, essendo il Papa argentino portatore, nella sua biografia, di una visione del mondo radicalmente lontana dalle potenze coloniali che nel Novecento hanno dominato, e sfruttato, il resto del mondo.
Nel frattempo Jorge Mario Bergoglio stende un velo protettivo sulla comunità cristiane minoritarie in Medio Oriente. In quella regione è nato il cristianesimo, ma in quella regione – tanto più dopo l’invasione militare anglo-statunitense in Iraq – ora è ridotto al lumicino. Il Papa ritiene che l’unica strada percorribile sia la pacifica convivenza tra persone diverse. Per questo disinnesca ogni tentativo di ‘scontro di civiltà’ o di ‘guerra di religione’, stigmatizza con forza il terrorismo ma ricorda al contempo che vanno sradicate le condizioni di ingiustizia che possono fomentare la violenza, ha sottratto la Santa Sede all’ambigua alleanza con gli Stati Uniti al quale alcune cancellerie volevano legarla durante la seconda guerra mondiale. E se i cristiani in Iraq e Siria sono perseguitati, se i loro diritti sono coartati in molti paesi, il Medio Oriente, ha detto ancora oggi, ‘deve diventare terra di pace, non può continuare ad essere terreno di scontro. La guerra, figlia del potere e della miseria, ceda il posto alla pace, figlia del diritto e della giustizia, e anche i nostri fratelli cristiani siano riconosciuti come cittadini a pieno titolo e con uguali diritti’.
Il viaggio negli Emirati Arabi Uniti durerà, in realtà, meno di 48 ore. Francesco giunge ad Abu Dhabi alle 22 di domenica tre febbraio e riparte martedì alle 13. Durante la sua trasferta, Francesco pronuncia solo due discorsi, in occasione dell’incontro interreligioso con l’imam Al-Tayyb e durante la messa alo Zayed Sports City martedì. Lunedì dopo la cerimonia di benvenuto, il Papa visita il Principe ereditario nel Palazzo Presidenziale e nel pomeriggio partecipa dapprima ad un incontro privato con i membri del Muslim Council of Elders nella Gran Moschea dello Sceicco Zayed e alle 18.10 ad un incontro interreligioso nel Founder`s Memorial. Martedì il Papa visita alle 9.15 privatamente la cattedrlae, poi celebra messa alle 10.30 nello Zayed Sports City. Alle 13 la partenza per Roma e alle 17 l’arrivo. Il motto della visita è ‘Fammi canale della Tua pace’. Il logo della visita è una colomba con un ramo d’ulivo. I colori della colomba, bianco e giallo riprendono i colori della bandiera vaticana. I colori della bandiera degli Stati Arabi Uniti sono inseriti nel corpo della colomba, a simboleggiare che il Papa visita il Paese arabo come araldo di pace.
Le due giornate del Papa nella penisola arabica, ha spiegato il direttore ‘ad interim’ della sala stampa vaticana, Alessandro Gisotti, sono una relativa al dialogo con il mondo musulmano e una dedicata alla comunità cattolica locale: ‘Tante volte ci sono state inimicizie e incomprensioni tra cristiani e musulmani’ può essere ‘un’importante opportunità per promuovere e rafforzare il dialogo interreligioso e per promuovere e rafforzare una comunità, come quella cattolica, estremamente dinamica e formata soprattutto di immigrati, in particolare asiatici, filippini ma non solo, che si trovano negli Emirati Arabi per motivi di lavoro’. Nel paese i cattolici – poco pià di 900mila su una popolazione complessiva di oltre nove milioni – sono in stragrande maggioranza lavoratori migranti, in particolare provenienti dalle Filippine. La costituzione del 1971 definisce l’islam come religione ufficiale e la Sharia rappresenta la sorgente principale della legislazione civile. I cittadini musulmani non possono cambiare religione, ma nessuno è stato mai condannato per il crimine di apostasia dall’islam. E la blasfemia è punita con pene severe anche se offende fedi diverse da quella musulmana.
I cristiani, ricorda Gianni Valente su Vatican Insider, sanno che per divieto di legge non bisogna puntare a convertire i musulmani. E che le chiese non possono avere le campane da suonare o esibire la croce sul tetto. E i leader cattolici locali hanno sempre avuto un approccio realista e non antagonista nei confronti dell’ordine costituito di fattura islamica. Hanno dovuto usare molta pazienza per ottenere i permessi alla costruzione di nuovi luoghi di culto. ‘La discrezione e la premura nell’evitare bracci di ferro con l’ordine islamico costituito ha spesso assicurato ai cattolici e ai loro vescovi la condiscendenza e la simpatia di molte autorità politiche’. Gli Emirati Arabi Uniti, ha detto il Papa nel video-messaggio per il viaggio, sono ‘terra che cerca di essere un modello di convivenza, di fratellanza umana e di incontro tra diverse civiltà e culture, dove molti trovano un posto sicuro per lavorare e vivere liberamente, nel rispetto delle diversità’. Certo tra Santa Sede e Emirati Arabi Uniti non mancano divergenze geopolitiche. La Santa Sede e gli Emirati Arabi Uniti hanno relazioni diplomatiche dal 2007 e nel 2010 il Paese arabo ha nominato il proprio primo ambasciatore, la signora Hissa Al Otaiba, tuttora in carica. Ma il paese è coinvolto con l’Arabia Saudita nella coalizione militare contro lo Yemen, partecipa sempre con i Saud all’embargo contro il Quatar (il presidente del comitato nazionale, Ali bin Samikh al-Marri, ricevuto ieri dal Papa, ha recentemente fatto appello per il ricongiungimento delle famiglie qatarine-emiratine separate dall’embargo). Ma è prevedibile che le eventuali controversie diplomatiche vengano trattate a porte chiuse, senza eco pubblica, e l’agenda del viaggio rimanga focalizzata sui rapporti tra cattolici e musulmani.
Il paese, da parte sua, è ansioso di mostrare al mondo la propria ospitalità con il romano pontefice. Il Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, nel giugno 2015 fu ospite ad Abu Dhabi per inaugurare la seconda chiesa cattolica del Paese, dopo l’apertura della Chiesa di San Giuseppe nel 1965, dedicata a San Paolo. Erano presenti per l’occasione il ministro della cultura Nahyan bin Mubarak, che nel suo discorso – riportava l’agenzia Fides dell’epoca – sottolineò come l’apertura di una nuova chiesa evidenziasse la ‘tolleranza religiosa’ dei leader nazionali. Adesso il ministero delle Risorse Umane e dell’Emiratizzazione ha annunciato che il martedì sarà considerato giorno festivo per i dipendenti del settore privato muniti dei permessi per partecipare alla messa del Papa nello stadio. Per l’occasione sono stati distribuiti 135.000 biglietti, numero che corrisponde alla capienza massima dello stadio, e anche diversi musulmani parteciperanno. Le televisioni emiratine stanno dedicando ore e ore di trasmissioni straordinarie all’evento, e le immagini del Papa saranno disponibili ai network di tutto il mondo. ‘Accogliamo la notizia della visita di Papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti a febbraio prossimo’, ha commentato su Twitter lo sceicco Mohammed bin Rashid, vicepresidente e governatore di Dubai, al momento in cui il viaggio è stato annunciato, aggiungendo che ‘la visita rafforzerà i nostri legami di reciproca comprensione, rafforzerà il dialogo interreligioso e ci aiuterà a lavorare insieme per mantenere e costruite la pace tra le nazioni del mondo’. askanews