Cronaca

Papa Francesco smonta lo scontro di civiltà: non c’è guerra di religione

Francesco smonta subito lo scontro di civiltà. L’attentato jihadista ad una chiesa a Rouen, in Francia, costata ieri la vita all’anziano sacerdote Jacques Hamel, sgozzato dai terroristi, ha tinto di inquietudine il viaggio che il Papa compie da oggi a domenica in Polonia. Ma prima ancora di arrivare a Cracovia il Pontefice ha sottratto il drammatico episodio alla rappresentazione, voluta dallo Stato islamico e spalleggiata da diversi ambienti occidentali, anche cattolici, di uno scontro tra islam e cristianesimo. Il mondo è in guerra, ha detto il Papa intrattnendosi con i giornalisti sul volo da Roma a Cracovia, ma quella che stiamo vivendo “non è una guerra di religione, no. C’è guerra di interessi, c’è guerra per i soldi, c’è guerra per le risorse della natura, c’è guerra per il dominio dei popoli: questa è la guerra. Qualcuno può pensare: ‘Sta parlando di guerra di religione’: no. Tutte le religioni, vogliamo la pace. La guerra, la vogliono gli altri. Capito?”. Per Francesco, “una parola che si ripete tanto è insicurezza. Ma la vera parola è guerra. Da tempo diciamo ‘il mondo è in guerra a pezzi’. Questa è guerra. C’era quella del ’14, con i suoi metodi, poi quella del ’39 – ’45, un’altra grande guerra nel mondo, e adesso è questa. Non è tanto organica, forse; organizzata, sì, ma organica, dico; ma è guerra. Questo santo sacerdote che è morto proprio nel momento in cui offriva le preghiera per tutta la Chiesa, è ‘uno’; ma quanti cristiani, quanti innocenti, quanti bambini … Pensiamo alla Nigeria, per esempio: ‘Ma, quella è l’Africa!’. Quella è guerra! Non abbiamo paura di dire questa verità: il mondo è in guerra, perché ha perso la pace”.

Francesco aveva già spiazzato i teorici dello scontro di civiltà, durante il suo viaggio a Sarajevo o visitando una moschea in Centrafrica, evitando attentamente di fare un uso improprio della parola islam o strizzando l’occhio alla galassia musulmana, quando, dopo gli attentati a Charlie Hebdo, aveva paventato un “pugno” a chi offende la madre, o Maometto. Ma la sua analisi, oggi, sullo sfondo di un mese che ha accelerato la crisi mondiale, dalla Brexit al fallito golpe in Turchia, dagli attentati in Francia a quelli in Germania, è ancora più netta. E conferma l’idea, già prospettata in passato, che l’umanità rischia di scivolare, neppure lentamente, in una terza guerra mondiale. A dare il tono della posizione vaticano, oggi, era stato il cardinale Jeasn-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il Dialogo interreligioso. Che, intervistato da Repubblica, aveva afermato, chiaro e tondo, che gli autori dell’attentato al prete francese sono “persone traviate che poco hanno a che fare con l’Islam stesso e con qualsiasi religione”. Non ritiene che l’Islam debba prendere le distanze da questi attentati? “Credo che lo farà. Occorre aspettare perché sarà interessante vedere cosa sarà detto”. Nel giro di poche ore arriva, infatti, la condanna del Grande Imam di Al Azhar, Ahmad Al Tayyeb, la più alta dignità accademica del mondo islamico sunnita: “Coloro che hanno compiuto questo selvaggio attacco sono privi di qualunque senso di umanità e di tutti i valori ed i principi di tolleranza islamica, che invitano alla pace ed alla prevenzione del sangue degli innocenti, senza distinzione alcuna di religione, colore, genere o appartenenza etnica”. Inoltre l’islam “ordina di rispettare i luoghi sacri e di culto e la sacralità dei non-musulmani”.

L’esponente cairota fa appello, infine, affinché “si intensifichino gli sforzi e le iniziative comuni per fronteggiare il cancro del terrorismo, che minaccia ormai il mondo intero, distrugge anime innocenti e mette a rischio la pace mondiale” e assicura che al-Azhar continuerà “il proprio cammino di lotta contro il pensiero estremista riformando il lessico usato in religione fino a quando il terrorismo non verrà strappato definitivamente dalle sue radici e saranno prosciugate le sue fonti”. A Cracovia, intanto, le misure di sicurezza sono imponenti. L’attentato di Rouen è una “grande tragedia” che però non ha di per sé aumentato l’allerta e i controlli, afferma in conferenza stampa Mariusz Bzaszczak, ministro dell’Interno e dell’amministrazione. “Noi prendiamo sul serio ogni segnale, ma la Polonia è un paese sicuro. Abbiamo aumentato le misure di sicurezza. Invitiamo tutti coloro che notano qualcosa di sospetto a segnalarlo alle forze dell’ordine. Ovviamente bisogna essere coscienti che non tutti gli scenari sono prevedibili, ma le nostre forze dell’ordine sono esperte e preparate. E noi faremo tutto il necessario affinché i pellegrini si sentano e siano sicuri”. Anche con lo “stile molto particolare” di questo Papa che ama entrare in contatto con le persone senza troppo badare al protocollo. Nella patria di Giovanni Paolo II Francesco visiterà il lager di Auschwitz-Birkenau e questa sera incontra, a porte chiuse, i vescovi polacchi, con i quali non mancano divergenze su questioni nodali come la pastorale della famiglia. E presiederà – invenzione di Karol Wojtyla – la Giornata mondiale della gioventù. Nonostante una pioggerella irregolare la città è percorsa da frotte di ragazzi di tutte le nazionalità, tra cori, balli, bandiere. Prima di immergersi nel suo viaggio polacco – la prima volta del Papa latin-americano in Europa centro-orientale se si escludono le sue visite nei Balcani – Francesco ha incontrato le autorità, la società civile e il corpo diplomatico nel castello reale sulla collina del Wawel.

Nel giorno dell’ennesimo scontro tra Bruxelles e Varsavia, stavolta sulla corte costituzionale polacca, ha ricordato che, già per Giovanni Paolo II, il “nuovo umanesimo europeo è animato dal respiro creativo e armonico” dei due “polmoni” dell’Europa orientale e occidentale “e dalla comune civiltà che trova nel cristianesimo le sue radici più solide”. Di fronte al governo conservatore di Beata Szydlo (e, dietro le quinte, di Jaroslaw Kaczynski), fa appello ad un confronto che rispetti tutte le posizioni. Elogia il dialogo della Chiesa polacco con i vescovi tedeschi e i russi ortodossi, sottolineando che la memoria non significa tenere “lo sguardo della mente e del cuore ossessivamente fissato sul male, anzitutto su quello commesso dagli altri”. E poi Papa Francesco, che prima di partire per la Polonia ha incontrato a Casa Santa Marta un gruppo di quindici rifugiati clandestini, affronta con i dirigenti polacchi il “complesso”, e controverso, “fenomeno migratorio”, che “richiede un supplemento di saggezza e di misericordia, per superare le paure e realizzare il maggior bene. Occorre individuare le cause dell’emigrazione dalla Polonia, facilitando quanti vogliono ritornare. Al tempo stesso, occorre la disponibilità ad accogliere quanti fuggono dalle guerre e dalla fame; la solidarietà verso coloro che sono privati dei loro fondamentali diritti, tra i quali quello di professare in libertà e sicurezza la propria fede”. Di nuovo, combattendo ogni tentazione di scontro di civiltà.

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