Papa e Trump, vertice tra leader distanti e imprevedibili
La stampa statunitense ha iniziato a considerare Francesco l’anti-Trump
E’ quasi l’unica caratteristica che accomuna davvero Papa Francesco e Donald Trump, ma è la caratteristica che può fare la differenza nell’udienza che domani il primo concede al secondo: l’imprevedibilità. Jorge Mario Bergoglio e Donald Trump non potrebbero essere più distanti. E lo sono in modo dichiarato. Da quando il primo pontefice latino-americano ha criticato apertamente l’allora candidato alle primarie repubblicane per il muro che Trump diceva di voler costruire lungo il confine con il Messico – “chi costruisce muri non è cristiano” – non c’è stato argomento sul quale i due uomini non abbiano marcato reciprocamente le distanze. Tanto che la stampa statunitense ha iniziato a considerare il Papa l’anti-Trump e viceversa. Dal vertice di Parigi sul clima, caldeggiato dal Papa e minacciato da Trump, al dramma delle migrazioni, dalla svolta diplomatica cubana, mediata da Jorge Mario Bergoglio e criticata dall’inquilino della Casa bianca, allo stile di vita personale, dai rapporti con l’islam a quelli con la Cina, dalla “madre di tutte le bombe” al rapporto col denaro, in questi mesi non si è registrato, a Washington e a Roma, un solo tema di convergenza. Il cardinale statunitense forse più entusiasta di Trump, Raymond Leo Burke, vicino allo stratega trumpiano Steve Bannon, è capofila dell’opposizione romana al Pontefice riformista. Poco prima delle elezioni Francesco ha invece promosso un altro cardinale a stelle e strisce, Joseph Tobin, che aveva ingaggiato battaglia con Mike Pence, di lì a poco vicepresidente di Trump, sulla nodale questione dell’accoglienza ai rifugiati siriani. Certo “The Donald” ha cavalcato alcuni cavalli di battaglia cari al cattolicesimo d’Oltreoceano, come l’aborto e, più in generale, la sensibilità pro-life. I cattolici statunitensi, del resto, hanno votato Trump con maggioranze analoghe a quelle che raccolse a suo tempo Barack Obama. Ma sebbene il Papa argentino non sia un rivoluzionario in dottrina, queste sono le questioni che il Pontefice ha voluto sin dall’inizio del pontificato abbassare i toni, in nome di un approccio più pastorale e misericordioso, invitando anzi i vescovi Usa, da decenni impegnati nelle “culture war” bioetiche, ad abbandonare il linguaggio “bellicoso”.
E così presunto “populismo” che accomunerebbe Trump e il Papa è una chimera. Il Pontefice gesuita è erede della teologia del popolo argentino che nulla a che fare con le venature xenofobe di certa destra europea e americana. Tanto che sul tema Francesco ha evocato lo spettro di Adolf Hitler. E ai movimenti che ha ricevuto poco prima dell’elezione di Trump ha detto che “la partecipazione da protagonisti dei popoli che cercano il bene comune può vincere, con l`aiuto di Dio, i falsi profeti che sfruttano la paura e la disperazione, che vendono formule magiche di odio e crudeltà o di un benessere egoistico e una sicurezza illusoria”. Parole non riferite a nessuno in particolare ma che marcano una distanza netta tra le domande che sorgono dal popolo e le risposte che i politici possono dare loro. Appena eletto, il Papa argentino ha auspicato, in un messaggio a Trump, che “la sua leadership possa la statura dell’America continuare a misurarsi al di sopra di tutte le preoccupazioni per i poveri, gli emarginati e coloro che hanno bisogno, e che come Lazzaro, restano fuori dalla porta”. Una indicazioni delle priorità chiara da parte del Pontefice latino-americano, guardato con ammirazione da quegli stessi latinos che negli Usa hanno preferito Hillary Clinton alle elezioni. Le agende, le sensibilità, le storie personali di Donald Trump e Jorge Mario Bergoglio, insomma, non potrebbero divergere di più. Eppure sarebbe sbagliato prevedere uno scontro all’udienza che domani mattina alle 8.30, prima dell’udienza tra i fedeli in piazza San Pietro, il Papa concederà al presidente Usa. “Dal nostro colloquio – ha detto Bergoglio di ritorno da Fatima – usciranno le cose, lui dirà quello che pensa e io dirò quello che penso. Sui migranti sapete bene che cosa io penso. Sempre ci sono porte che non sono del tutto chiuse, bisogna cercare le porte che almeno siano un po aperte, bisogna entrare e parlare su ciò che c’è di comune e andare avanti passo dopo passo. La pace è artigianale, si fa ogni giorno”.
Da questo punto di vista, il Papa e Trump, due uomini diversissimi sul resto, sono simili. Entrambi hanno un approccio pragmatico alle situazioni, una certa inclinazione a uscire dagli schemi, l’abitudine a sorprendere anche i propri collaboratori. Sono due imprevedibili, e nel solco dell’imprevedibilità potrebbero anche trovare qualche convergenza. Soprattutto se il presidente Usa risulterà essere per il Papa un interlocutore prezioso per raggiungere obiettivi di pace, sullo scacchiere del Medio Oriente e – al netto delle contorsioni del Russiagate – nella mano tesa alla Russia di Putin. Il Papa, ha spiegato sul suo blog, Cyberteologia, padre Antonio Spadaro, gesuita vicino al Pontefice, “non è ideologico e non pensa per bianco e nero. E’ anche molto realista: sa che la situazione globale del mondo in questo momento è di seria crisi. E spesso a rischio sono i più deboli. Crescono i nazionalismi, i populismi, le povertà, i ‘muri’. Francesco, il Papa dei ponti, dunque vuole parlare con apertura con qualunque capo di Stato glielo chieda perché sa che nelle crisi non ci sono ‘buoni’ e ‘cattivi’ in assoluto. La storia del mondo non è un film hollywoodiano. Non arrivano mai i ‘nostri’ a salvarci contro i ‘loro’. Il Papa sa che ci sono in ballo sempre e comunque giochi di interesse. Per questo non entra in reti di alleanze precostituite e spesso trova partners proprio in coloro che rappresentano fratture rispetto al pensiero unico. In sostanza, la posizione voluta dal Papa consiste nel non dare torti e ragioni a priori, ma nell`incontrare i maggiori players in campo per ragionare insieme e proporre a tutti il bene maggiore, esercitare il soft power che mi sembra il tratto specifico della politica internazionale di Bergoglio”. E quindi “molti si interrogano sullo stile dell`incontro. Difficile da dire. Tutto dipende dall`incontro stesso. Non si può dire in anticipo se sarà rilassato o teso. Sarà certamente un incontro ‘sincero’ in cui il Papa dirà quel che pensa e sarà disposto ad ascoltare quel che il presidente Trump pensa e vorrà comunicargli. E in questo senso sarà un incontro senza ‘muri'”.