Partecipate pubbliche, riforma Madia affievolita con ddl bilancio
Sospensione fino al 2021 dell’obbligo di dismissione
La riforma delle società partecipate dalle pubbliche amministrazioni, prevista dalla legge Madia del 2016, rischia di essere indebolita da una norma del ddl di bilancio che, se confermata, ne limiterebbe gli effetti. Tale disposizione, rimasta invariata nel passaggio del provvedimento in prima lettura alla Camera, stabilisce una sospensione di tre anni, fino al 31 dicembre 2021, dell’obbligo di alienazione delle partecipazioni sociali e della perdita dei diritti sociali del socio pubblico, nel caso in cui le società partecipate abbiano registrato un risultato netto medio in utile nei tre anni precedenti la ricognizione straordinaria prevista dalla stessa riforma Madia.[irp]
Il testo unico delle partecipate (il decreto legislativo 175/2016) attualmente in vigore prevede l’obbligo per ciascuna amministrazione pubblica di effettuare una ricognizione straordinaria delle partecipazioni societarie possedute e di comunicare entro il 30 settembre 2017 al Ministero dell’Economia e delle Finanze i piani di razionalizzazione che devono essere attuati entro un anno. In base alla legge di riforma devono essere interessate da interventi di razionalizzazione le partecipazioni detenute, direttamente o indirettamente, le società partecipate che non sono attive nei servizi di interesse generale o non producono beni e servizi strumentali all’ente pubblico partecipante, oppure che sono prive di dipendenti o hanno un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti, o che nel triennio precedente abbiano conseguito un basso fatturato.
Nel mirino della riforma, in sostanza, quelle società che operano in settori economici di mercato e per i quali non si richiede una partecipazione pubblica. Il mondo delle partecipate pubbliche è variegato, si va da quelle che producono prosciutto a quelle che producono vini o che si occupano di costruzioni. Il ddl di bilancio all’esame del Parlamento stabilisce quindi che le partecipazioni delle pubbliche amministrazioni, anche se giudicate alienabili e inserite nei piani di riordino degli enti, possono essere mantenute nei prossimi tre anni se nella media del triennio passato la società risulta in utile. Ma questo criterio, come riporta l’Osservatorio dei conti pubblici italiani di Carlo Cottarelli, non significa che il saldo sia positivo per le pubbliche amministrazioni che detengono la partecipazione.[irp]
Queste ultime, infatti, spesso finanziano in diversi modi le attività delle partecipate, ad esempio attraverso ‘contratti di servizio’. Inoltre, il capitale impiegato per la partecipazione potrebbe essere utilizzato più proficuamente per attività di servizio di maggiore utilità per i cittadini. Va detto che in tema di riordino delle partecipate non siamo all’anno zero. Secondo quanto riporta lo studio Anci-Ifel (l’Istituto per la finanza locale dell’Associazione dei Comuni) tra il 2015 e il 2018 le società partecipate dai Comuni capoluogo di provincia è passato da 5.374 a 4.313, con un calo pari al 20%. Il riordino ha avuto un’accelerazione con la legge Madia, ma le operazioni di ricognizione in molti Comuni erano già partite. E’ probabile però che il taglio abbia riguardato essenzialmente, le piccole partecipate locali, non le realtà di maggiori dimensioni.
“Dopo una prima fase, che ha portato sicuramente risultati importanti – ha spiegato il presidente dell’Ifel e sindaco di Ascoli, Guido Castelli – vediamo con favore questa ‘moratoria’ che consente alle amministrazioni di fare una riflessione e una valutazione più attenta sull’opportunità o meno di dismettere le partecipazioni. Se l’azienda produce utili, perché dismettere?”. L’Osservatorio di Cottarelli la vede diversamente e sottolinea invece il rischio che le società partecipate, seppure non in perdita, continuino ad esistere per svolgere quel ruolo di ‘poltronificio’ spesso utilizzato per risolvere le controversie interne alla politica.