Luigi Di Maio ci crede. Crede che il Movimento 5 Stelle possa stravincere le elezioni e, se non addirittura ottenere la maggioranza assoluta, sicuramente realizzare da solo un risultato tale da poter essere un attore fondamentale delle trattative per la nascita del governo. “Stasera finisce l’era dell’opposizione e inizia quella del governo M5S”, ha detto a piazza del Popolo per il comizio di chiusura della campagna elettorale pentastellata. Su quel palco sono saliti solo i big: Virginia Raggi, Davide Casaleggio, Roberto Fico, Roberta Lombardi, Paola Taverna, Alessandro Di Battista e, a chiudere, Beppe Grillo. Al suo primo comizio dopo il divorzio del suo blog dalla Casaleggio associati e dal Movimento, il comico genovese ha scaldato ancora la piazza: “Hanno detto che il periodo del vaffa è finito. Può darsi che sia finito il nostro diritto al grido, abbiamo gridato quando c’era quel silenzio ed era giusto, abbiamo fatto una rivoluzione ma il vaffa rimarrà, magari non tutto, un vaffino da mettere come una calamita sul frigo, ricordati del tuo primo vaffanculo!”. Con qualche punta di nostalgia, certo, ma anche il garante del Movimento ha ammesso: “Abbiamo escogitato un sistema meraviglioso, possiamo andare lì e cambiare veramente delle cose ma il cuore rimane, dobbiamo ricordarci del nostro cuore”.
Piazza del Popolo si è riempita solo per metà, con un numero di presenze lontanissimo dal colpo d’occhio di piazza San Giovanni dove i pentastellati chiusero la campagna elettorale del 2013. Ma se si avverò la profezia di Pietro Nenni “Piazze piene, urne vuote”, stando alle previsioni di Di Maio, domenica varrà anche il suo contrario. Il candidato premier non ha citato i sondaggi ma è come se lo avesse fatto. “Siamo a un passo dalla vittoria. M5s può vincere in tutti i collegi uninominali del sud e in molti del nord e così possiamo raggiungere la maggioranza per governare”. Da diversi giorni parla di un 40% che consentirebbe a M5s di governare da solo. Più che reale convinzione, strategia dettata dalla certezza di essere il primo partito e dall’assunto che Di Maio ha ripetuto per tutta la campagna elettorale: “Per fare un governo si passa da noi”. Una strategia che lo ha portato anche a mantenere a tutti i costi la promessa di presentare la squadra dei ministri prima delle elezioni, nonostante le difficoltà nel comporla. “Sono eccellenze. Fissiamo un nuovo benchmark, un livello alto. Sarà difficile sostituirli con persone come Alfano e Boschi”, ha detto alla presentazione della squadra.
Una strategia che a poche ore dalla chiusura della campagna elettorale gli fa anche annunciare il decreto che intende approvare nel primo consiglio dei ministri. Nove pagine con tre punti: dimezzamento dello stipendio ai parlamentari, via i vitalizi ai politici, taglio di 30 miliardi di sprechi e privilegi. Di Maio, si diceva, ci crede. Ma in mezzo c’è il voto con una legge elettorale che, a meno di clamorose sorprese, non porterà nessuno dei tre poli alla maggioranza assoluta. A quel punto spetterà al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, indicare una strada. Il candidato premier M5s non vuole sentir parlare di intese con altri partiti, semmai, è il refrain, “sono gli altri a firmare un contratto di programma con noi e dare i voti al nostro governo per realizzarlo”. Ma prima ancora della formazione del governo, il primo atto della nuova legislatura sarà l’elezione dei presidenti delle Camere. Cinque anni fa, dall’opposizione, M5s non ne volle sapere di partecipare a trattative. Votò i suoi candidati (Fico a Montecitorio, Orellana a Palazzo Madama) a parte qualcuno che cedette a Pietro Grasso. Ora che “è finita dell’opposizione” sarà difficile per Di Maio sottrarsi alle inevitabili trattative per dei nomi condivisi. E chissà che non sia quello il momento per sdoganare il tabù delle alleanze.