Patto per il Pip di Marano, indagati e tentativi di depistaggio
Le intercettazioni: “Ce li mangiamo, non ti preoccupare”
“Ce li mangiamo, non ti preoccupare”. È con questo spirito, rivelato da una delle telefonate intercettate e agli atti degli inchiesta, che gli indagati provano a depistare le indagini della Procura di Napoli quando capiscono di essere finiti nel mirino di un`indagine penale. Sono cinque i provvedimenti di custodia cautelare in carcere firmati dal gip Francesca Ferri su richiesta della Dda di Napoli (pm Antonella Di Mauro e Giuseppe Visone del pool guidato dall`aggiunto Giuseppe Borrelli). In manette i fratelli Aniello e Raffaele Cesaro, imprenditori di Sant`Antimo e fratelli di Luigi, l`ex deputato Fi che in passato fu indagato e archiviato in un diverso filone di indagine. In carcere anche gli imprenditori Pasquale e Antonio Di Guida e l`ingegnere Oliviero Giannella. L`indagine ha puntato a far luce sull`attività imprenditoriale dei Cesaro che, attraverso le loro due società di costruzioni, hanno realizzato l`insediamento Pip sul territorio di Marano e sull`attività imprenditoriale di Di Guida, un maranese che con diverse società a lui direttamente o indirettamente riferibili avrebbe effettuato speculazioni immobiliari tra Marano, San Giovanni a Teduccio e a Napoli, ai Colli Aminei, nonché sul ruolo dell`ingegnere accusato di aver messo a disposizione degli amici imprenditori le proprie competenze tecniche per la soluzione “illegittima e illecita” delle problematiche connesse ai diversi investimenti immobiliari e le proprie conoscenze in ambienti della criminalità organizzata in cui “si muove in modo agevole – scrive il gip – curando anche gli interessi economici del clan e dei suoi affiliati”. Ed è proprio a Giannella che, secondo la ricostruzione degli inquirenti, i fratelli Cesaro si rivolgono un anno fa, il giorno stesso in cui ricevono la visita dei militari del Ros presso la sede del loro gruppo per la notifica di un ordine di esibizione e consegna di documenti del Pip.
Nell`informativa dei carabinieri emerge che quei documenti non erano presenti negli uffici della sede del gruppo Cesaro e che l`imprenditore Raffaele non sapeva dove fossero poiché il responsabile della società concessionaria del Pip era il fratello Aniello, in quel momento assente. Ma ascoltando le intercettazioni i pm dell`Antimafia ritengono che si sia trattato di una scusa per prendere tempo. Dal tono della conversazioni si intuisce che i fratelli sono particolarmente irritati per la richiesta di fornire i documenti del Pip in loro possesso e si affidano all`ingegner Giannella per avere consigli su come agire. La Procura ha ipotizzato un rischio di inquinamento probatorio e il gip ha condiviso questa tesi. “Se le indagini si fossero limitate a ricostruire il modo in cui, quasi dieci anni fa, sono state realizzate le diverse speculazioni, dal Pip di Marano al Parco dei Gerani, sarebbe stato legittimo affermare – osserva il gip – che il tempo decorso e l`arresto dei camorristi con cui erano stati fatti affari e conclusi patti fanno immaginare che il pericolo non sia concreto né attuale. Ma così non è”, conclude il giudice che ha firmato gli arresti, soffermandosi oltre che sui vari tentativi di inquinamento della prove “di cui – si legge nel provvedimento – con diverse modalità gli indagati si rendono protagonisti”. Negli atti dell`inchiesta, a tal riguardo, sono indicati passaggi di conversazioni intercettate (“dobbiamo correre…bravo…io questo sto dicendo…che siamo scemi allora?”) e i commenti a interrogatori affrontati dinanzi all`autorità giudiziaria (“ha detto una cosa che poteva…cioè l`unica cosa che si poteva difendere…poteva mai dire sono socio….”).