Pd, dopo 5 anni sempre più spaccato. Lunedì resa dei conti
Il no di Renzi. Primi contatti tra le truppe parlamentari
Un partito nel bunker, per dirla con Andrea Orlando. Il giorno dopo la sconfitta alle elezioni si chiude con il Pd protagonista di uno scontro durissimo, simile a quello che scandi’ il ‘golpe’ dei 101 ai danni di Pier Luigi Bersani. Lo sconfortante 18,7 per cento delle urne alimenta per tutta la giornata l’ipotesi che Matteo Renzi si dimetta da segretario. Questa era l’intesa con le diverse aree del partito, secondo quanto stabilito negli incontri che hanno lanciato il rush finale di campagna elettorale. Ma ai giornalisti convocati al Nazareno Renzi ha illustrato un calendario slow motion delle dimissioni. Si e’ detto pronto a lasciare si’, per aprire una pagina nuova. Ma non prima dell’insediamento del nuovo governo. Di piu’: a lui spetta di garantire che i Democratici non approdino al governo con M5s e Leu, rispetto ai quali sono alternativi. Di qui la necessita’ di far partire il congresso solo dopo la partenza dell’esecutivo, che nascera’, assicura Renzi, senza il sostegno del Pd. “Noi saremo all’opposizione”, ha scandito il leader dem. In ogni caso i tempi saranno prevedibilmente lunghi, e il congresso non potra’ tenersi prima del prossimo autunno. Anche per questo in molti nel Pd hanno riferito il ‘non expedit’ di Renzi rispetto ai Cinque Stelle al percorso che il Quirinale, di qui a qualche giorno, si trovera’ ad avviare. Prefigurare un Pd comunque vada “da opposizione” e’ sembrato un modo per mettere paletti e condizioni alle prerogative del Colle.[irp]
Con un’aggiunta. Nella conferenza stampa Renzi ha ricordato che nel 2017 ci sono state due finestre elettorali, in cui sarebbe stato preferibile andare a votare. Se non lo si e’ fatto, e’ il sottinteso a cui sono giunti in molti ascoltando le parole del segretario, e’ stato per colpa di Gentiloni e Mattarella. Ma perche’ questo nervosismo? Ad agitare la maggioranza dem, a quanto si apprende da fonti parlamentari, sono state le voci di primi contatti tra esponenti del Pd e M5s sull’ipotesi di un governo in comune. L’esecutivo del cambiamento, come lo chiamo’ Bersani nella primavera del 2013, torna cosi’ dopo cinque anni a turbare i Democratici. I “boatos” che riferiscono di ‘ponti in costruzione’ tra Dem e grillini sono stati avvalorati da dichiarazioni delle minoranze non ostili nei confronti di un eventuale mandato esplorativo a Luigi Di Maio. E ancora: accreditati da chi ha letto nelle dure reazioni di Luigi Zanda, Franco Mirabelli, di Michele Emiliano, Andrea Orlando e Gianni Cuperlo alle parole di Renzi, altrettanti segnali di disponibilita’ ai Cinque Stelle. Il momento della verita’ sara’ lunedi’ in direzione nazionale. Renzi chiedera’ la conferma della linea di chiusura ai Cinque Stelle. Ha dalla sua i numeri, ma coi franscechiniani sul piede di guerra, la riunione potrebbe rivelarsi piu’ movimentata del solito.[irp]