Pd festeggia ok a referendum su Autonomia, ma su Jobs act posizioni diverse

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Schlein dovrà valutare se tentare una mediazione – magari lasciare libertà di coscienza – o se fissare comunque una linea chiara del Pd

Schlein, il governo e' diviso su moltissime questioni

Elly Schlein

C’è entusiasmo al quartier generale Pd per il sì della Cassazione ai referendum, perché dopo la bocciatura dell’autonomia da parte della Consulta è la seconda volta che il centrodestra deve incassare un verdetto poco favorevole. Ma l’ok ai quesiti referendari, Jobs act compreso, dovrà anche essere valutato con attenzione nel partito perché la discussione interna è assai articolata persino sulla legge Calderoli, come dimostrano le parole di Michele De Pascale ad Atreju. Per non parlare, ovviamente, del quesito sulla legge voluta da Matteo Renzi, che l’ala moderata del Pd difficilmente sosterrà.

Il confronto è ancora sotto traccia, perché manca ancora l’ok della Consulta che arriverà solo a gennaio. Ma col nuovo anno una discussione nel partito sarà necessaria, se si vogliono evitare divisioni interne che rischierebbero di trasformare una potenziale vittoria in un contropiede offerto al centrodestra.
Sull’autonomia la discussione è più semplice, si tratta di valutare se a questo punto sia più opportuno puntare dritto sul referendum – sapendo che il quorum ormai è un miraggio da quasi trent’anni, salvo un paio di eccezioni – o se invece non sia meglio provare a sedersi al tavolo in Parlamento.

Il presidente dell’Emilia Romagna lo dice esplicitamente, ma non è l’unico a pensarla in questo modo nel Pd: bisogna valutare, dice se è il caso di andare alla conta con “un referendum lancinante dove può succedere che il centrosinistra abbia un enorme problema di consenso al Nord, mentre al Sud accadrebbe il contrario”. Il voto sarebbe una roulette russa – è il senso del ragionamento – con l’Italia spaccata in due e un esito incerto: se si raggiungesse il quorum sarebbe un colpo forse fatale per il governo, come ripete spesso anche Matteo Renzi, ma in caso contrario il centrodestra avrebbe mano libera nel riscrivere la legge limitandosi alle correzioni – pure molto radicali – imposte dalla Consulta. Ma allora, dice De Pascale, “non possiamo fermarci un secondo e dire facciamo un tagliando al titolo V?”.

De Pascale parla misurando le parole, fa capire che ovviamente il sì all’abrogazione non è in discussione, se poi il dialogo sarà impossibile o se comunque si deciderà di giocarsela nelle urne: “E’ chiaro che se il governo decide di andare avanti si andrà al referendum e io mi batterò perché la riforma dell’autonomia non vada avanti”. E “se vota il 46% e tutti votano per abolire la legge sull’autonomia, il governo non ne prende atto in un paese dove normalmente votano molte meno persone?”. Insomma, almeno sull’autonomia la discussione riguarderà solo l’opportunità di puntare al referendum anziché provare a trattare, ma non è in discussione il voto sulla scheda. La scelta però non sarà semplice, perché appunto il quorum è ormai quasi sempre un miraggio e più d’uno pensa che sia meglio sedersi al tavolo in Parlamento, se ci sarà la disponibilità del centrodestra.

Più spinoso il discorso sul Jobs act, perché tocca un nervo ancora scoperto e costringerebbe un bel pezzo del Pd a rinnegare la scelta fatta dieci anni fa. La segretaria Elly Schlein ha firmato il quesito promosso dalla Cgil, l’abolizione del Jobs act era anche nella piattaforma con cui ha vinto le primarie e dunque non dovrebbero esserci molti dubbi sulla sua posizione. E’ un altro tassello del suo lavoro per rendere evidente una svolta, per far vedere plasticamente che il suo è un “nuovo Pd”, l’abbattimento di un totem. Ma proprio per questo è una scelta indigesta all’ala moderata del partito, quella che è stata renziana ma più in generale quella parte che votò convintamente il Jobs act.

Nel 2002 si verificò una situazione simile, quando Rifondazione comunista presentò un referendum per estendere l’articolo 18 anche alle aziende con meno di 15 dipendenti. Una ipotesi che buona parte dei Ds, a cominciare dall’allora segretario Piero Fassino, non condividevano. La Quercia decise per l’astensione e nonostante ciò la sinistra Ds votò a favore. In questo caso la Schlein dovrà valutare se tentare una mediazione – magari lasciare libertà di coscienza – o se fissare comunque una linea chiara del Pd, a favore del referendum, mettendo in conto lo smarcamento della minoranza o almeno di una buona parte di essa.
Discussioni che si faranno a gennaio, dopo il sì definitivo della Consulta.