Politica

Pd, Letta accelera verso congresso. Toccherà a Bonaccini o Schlein?

Il risultato deludente del Pd, come previsto, porterà ad un cambio di classe dirigente. Dopo la sconfitta elettorale Enrico Letta non si nasconde dietro vecchie formule politiche e lo dice chiaramente: “Assicurerò la guida del partito nelle prossime settimane verso il congresso al quale non mi ripresento candidato, tocca ad una nuova generazione”. Quindi l’esperienza di Letta alla guida dei dem finisce qui, in molti apprezzano la sua scelta di non dimettersi e di consentire un percorso “ordinato” verso il congresso che si terrà a marzo.
“Bene ha fatto Letta ad indicare la strada che tutti insieme percorreremo nelle prossime settimane verso il Congresso che dovrà essere, ora più che mai, il momento per discutere della nostra identità e della nostra funzione al servizio del Paese”, è la posizione espressa da fonti di Base riformista, la corrente Dem guidata da Lorenzo Guerini e Luca Lotti.

A scaldare i motori per la futura guida del Pd ci sono già, a quanto dicono diversi esponenti dem, Stefano Bonaccini, attuale presidente dell’Emilia Romagna, che non ha mai fatto mistero della sua ambizione, ma che oggi alla luce della sconfitta alle elezioni ha spiegato che il Pd adesso “non ha bisogno di ripartire dai nomi e dai cognomi: ognuno di noi farà la sua parte, ma non è oggi il momento di ripartire con una discussione” sui nomi. Prima dei nomi occorre discutere dei contenuti e “prima delle alleanze”, capire “quale identità e quale profilo si vuole dare”. L’altra papabile è Elly Schlein, che però non è iscritta al Pd, identificata da molti come un punto di riferimento per l’area più a sinistra e che ha già avvisato che dopo il voto bisogna ricominciare a dialogare con il M5s. La vicepresidente di quella regione, l’Emilia Romagna, ultima e unica roccaforte democratica alla luce dei risultati di queste elezioni, potrebbe avere anche il sostegno di Letta che l’ha voluta coinvolgere già nella campagna elettorale. Ma a sinistra non è l’unica che potrebbe farsi avanti: c’è Andrea Orlando, secondo il quale la “sconfitta è stata durissima” e questo vuol dire che “va ricostruita la sinistra per le nuove sfide che ci attendono, superando subalternità e divisioni.

E c’è anche Beppe Provenzano a poter esprimere la leadership di quell’area. Sull’analisi del voto arrivano anche le critiche di un altro esponente della sinistra dem Matteo Orfini: “‘Abbiamo perso perché la linea di questi anni era giusta’ non mi pare un’analisi molto convincente e rispettosa, se devo essere onesto”. Al Pd ora toccherà la famigerata “traversata nel deserto”, ossia rassegnarsi a stare all’opposizione, e Letta prima di andarsene una indicazione su questa nuova fase l’ha voluta dare: “Penso che per contrastare questa destra sia molto importante che si riprendano le fila di relazioni per una opposizione efficace e non che ognuno vada per conto suo”, ha detto riferendosi a rapporti con il M5s. “Chi verrà dopo di me – ha aggiunto – dovrà lavorare per costruire un campo inclusivo”. Di certo questo sarà uno dei temi principali del dibattito congressuale, quali alleanze costruire. La consapevolezza di dover riaprire il progetto del campo largo c’è in tutte le anime del partito.

Si fanno avanti anche gli amministratori locali a indicare una via nuova per il partito: “Il Pd dovrà cercare di collegare, anche in vista di elezioni comunali importanti come quelle che ci saranno l’anno prossimo, dai 5 Stelle alle forze di centro di Calenda e Renzi”, ha detto il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani. Mentre Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’Anci, è molto più duro e chiede di “smantellare l’intero modello del partito” lasciando più spazio al territorio: “Basta con i capi corrente che fanno e disfano le liste a propria immagine e somiglianza – ha avvisato -. Basta con questo esercizio del potere per il potere. Basta con l’autoconservazione come unico scopo della politica”.

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