Pd ‘low profile’ su M5s: distinguo non pagano, no polemiche
Il lavorio per il proporzionale che risolverebbe i problemi
I mugugni nel partito ci sono, non piacciono affatto gli strappi continui di Giuseppe Conte – l’ultimo lunedì sera sul decreto aiuti -ma la linea del vertice Pd non cambia: “pazienza e lavoro di costruzione”, ripetono al Nazareno, nella convinzione che comunque in questa fase paghi di più una linea netta e chiara rispetto alla postura “di lotta e di governo”. Certo, l’apertura al proporzionale da parte di Enrico Letta fa capire che ormai si ragiona su uno schema diverso rispetto a quello di qualche tempo fa, il “campo largo” o il “fronte dei progressisti” sembra via via sfumare in un’alleanza all’insegna della competizione, con M5s impegnato a recuperare un tratto identitario più marcato.
Il proporzionale consentirebbe a tutti “mani libere”, ma è un dato di fatto che al momento non c’è nessuna certezza che si riesca a modificare il sistema di voto. Come è un dato di fatto che Pd e M5s andranno alleati “nel 70%-80% dei comuni” alle amministrative di giugno, come dice Francesco Boccia. Ecco perché la scelta dei democratici è quella del basso profilo, la linea è di non “rispondere alle provocazioni” e lavorare, semmai, perché il governo si intesti misure dal forte carattere sociale, che impattano sull’economia e sulla vita dei cittadini. Perché, Letta ne è convinto, è su questo che si giocherà la partita alle politiche, non sulla guerra.
Un parlamentare di ‘Base riformista’, l’area di Lorenzo Guerini, non usa diplomazia: “I 5 stelle? Si fanno solo del male, dicono no a un decreto che dà 200 euro alle famiglie”. La linea è attendista, “faremo i conti dopo le amministrative, anche perché se va avanti la guerra M5s si spacca in due. Basta sentire i parlamentari vicini a Di Maio, dicono: l’obiettivo di Conte è fare una sorta di Leu… Insomma, aspettiamo e vediamo che succede”. Boccia, non la vede così. Il responsabile enti locali, da sempre fautore dell’asse con i 5 stelle, ricorda appunto che Pd e M5s sono alleati nella stragrande maggioranza delle città e aggiunge: “Stiamo facendo la campagna elettorale. Quello che conta ora è l’unità nelle città. E non dimentichiamo che il centrodestra ha un partito all’opposizione e due in maggioranza”.
Certo, proprio quello che accade anche nel centrodestra mette tutti davanti ad una prospettiva un po’ surreale: quella di una campagna elettorale che vedrà una competizione interna alle coalizioni quasi più aspra di quella che ci sarà tra gli schieramenti. Da una parte la sfida all’ultimo voto tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini, per rivendicare la candidatura a palazzo Chigi. Dall’altra il “ritorno alle origini” dei 5 stelle, che stride con l’europeismo e l’atlantismo di Letta. Per questo, dice Matteo Orfini, la soluzione sarebbe il proporzionale: “Ognuno verrebbe votato per le proprie idee, senza essere costretto in coalizioni troppo eterogenee”.Stessa opinione di Andrea Romano: “Ognuno potrebbe percorrere le proprie praterie identitarie, senza dover mettere in discussione le alleanze”.
Ma, appunto, cambiare la legge elettorale è difficile senza il sì della Lega e al momento Salvini non dà segnali incoraggianti. E se tutto restasse com’è – ammette Romano – “sarebbe complicato, il rischio è di arrivare alle elezioni con una polemica al giorno. Polemiche da parte loro, non nostra. Ha detto bene Letta: dobbiamo buttare acqua sul fuoco. Certo, Conte insiste, dice che il Pd lo ha trattato male come non ha mai fatto nemmeno la destra. Provocazioni che lasciano il tempo che trovano”. Orfini aggiunge: “Questo governo è faticoso per tutti e per noi è molto faticoso: siamo gli unici che si fanno carico di essere sempre punto di equilibrio, che cercano di trovare le soluzioni. Dopodiché è l’unica strada possibile”. Peraltro, sottolinea, “non penso che tirare sempre la corda sia un atteggiamento apprezzato dagli italiani in questa fase. E’ giusto il ruolo che svolgiamo, anche se faticoso”.
Anche per questo Letta chiede prudenza a tutti e vuole evitare di alimentare polemiche. Del resto, fa notare un dirigente Pd, “la linea M5s sulla guerra e sulle armi parla ad un elettorato che non è il nostro. Non temiamo la concorrenza di Conte. Tanto più che, a giudicare dai sondaggi, non sembra che M5s abbia recuperato molto grazie a tutti questi smarcamenti”. Al contrario, il Pd si contende con Fdi il ruolo di primo partito. “Sarà quella la sfida alle politiche – dice ancora il dirigente democratico – M5s perderà molto al nord, la Lega perderà al Sud. L’obiettivo è evitare che vinca questa destra. E dopo le amministrative, se non cambia la legge elettorale, anche i moderati, da Calenda a Renzi, si convinceranno che bisogna fare un accordo”.
Cesare Damiano non è entusiasta di un’alleanza larghissima, ma riconosce: “In una logica di schieramenti contrapposti vige anche il principio dell’alleanza più larga”. Certo, aggiunge, “sappiamo che tanto è più larga l’alleanza, tanto maggiore è il contrasto. Io l’ho sperimentato da ministro nel 2006 al tempo dell’unione. Di solito alleanze molto accidentate non hanno vita lunga”. Ma questo è un problema che si porrà dopo il voto. Allo stato, appunto, l’obiettivo è impedire che vinca la destra: per questo Letta insiste sui temi economici, sulle questioni sociali, chiede che il governo faccia cose ben visibili su questi fronti.