Il Pd riparte da “Secondo partito”, ma tregua con Renzi vacilla

Il Pd riparte da “Secondo partito”, ma tregua con Renzi vacilla
Matteo Renzi
28 maggio 2019

Il Pd riparte, la medaglia di “secondo partito” dà una bella mano alla campagna di comunicazione del nuovo segretario Nicola Zingaretti, anche se si cominciano ad avvertire i primi scricchiolii della tregua interna che era stata imposta dal congresso. I risultati delle Europee non sono entusiasmanti, in valore assoluto il Pd ha perso poco più di centomila voti rispetto al 2018, ma l’affluenza più bassa rispetto alle Politiche e il crollo M5s permettono di parlare dell’apertura di una “stagione nuova”. Del resto, anche nel 2014 Renzi sfruttò l’impatto mediatico del 40% alle Europee, benché avesse preso in termini assoluti meno voti di Walter Veltroni nel 2008.

Fa parte del gioco, in politica è così, anche se proprio Renzi reagisce con fastidio ai festeggiamenti del Pd. L’ex segretario, spiegano, non ha gradito i raffronti con il 2018 fatti in queste ore (“Eravamo oltre dieci punti sotto, ora siamo avanti”, ha ripetuto Andrea Orlando più volte) e questo spiegherebbe il gelido tweet con il quale Renzi ha esaurito il suo commento al voto di ieri: “La vittoria della Lega alle europee – ha scritto – è netta. È altrettanto evidente che la risposta più forte alla vittoria di Salvini arriva oggi da Firenze grazie al bravissimo Dario Nardella”. E se ci fossero stati dubbi sull’umore dei renziani, basta leggere il tweet di Luigi Marattin: il deputato Pd scrive per sottolineare che rispetto al 2018 il partito ha perso 111mila voti. Non proprio una manfestazione di giubilo, la sua. Un renziano doc, a microfoni spenti, commenta: “E’ finita la tregua. Del resto, è da ieri sera che loro ripetono che un anno fa abbiamo fatto schifo! Se le cercano…”.

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Dal quartier generale di Zingaretti nessuno replica, si fa finta di niente. “Non so, non ho visto”, ribatte sarcastico uno dei collaboratori del segretario. Salvo poi aggiungere: “Immagino siano solo schermaglie, anche perché con questi risultati non credo proprio che Renzi ora pensi di uscire per fare il suo partito”. Questione che viene riconosciuta anche sul fronte renziano: “Sì, non è che al momento ci sia tutto questo spazio…”. Zingaretti guarda avanti, cercando di capire innanzitutto cosa capiterà al governo. Ancora ieri sera uno dei leader Pd, lasciando il Nazareno, commentava: “Non possono reggere, i rapporti di forza sono ribaltati. Salvini non romperà, ma farà in modo che siano i 5 stelle a rompere imponendo la sua agenda su tutto”. Certezze che già oggi vacillavano: “Chissà – ragiona un altro dei dirigenti vicini a Zingaretti – queste prime ore ci dicono che non è così scontato che si apra la crisi, non prima della legge di bilancio perlomeno”.

Il segretario vuole capire, per il momento sta alla finestra, incassando un risultato che consolida il partito e che – nelle sue intenzioni – può diventare la base per ricostruire. Perché è chiaro che, lontano dai riflettori, anche Zingaretti e i suoi hanno ben chiaro che c’è poco da festeggiare con un polo sovranista fatto da Salvini e Meloni che supera il 40%. Per diventare competitivi c’è ancora molta strada da fare, c’è da ricostruire “un campo del centrosinistra” come dice Goffredo Bettini, anche se non è ben chiaro con chi, visto che anche sommando Verdi e +Europa non si arriva al 30%. Il lavoro è lungo, Zingaretti vuole capire anche cosa succede dentro M5s. Un dialogo con loro prima delle elezioni è escluso, ma le cose potrebbero cambiare dopo un eventuale voto, o in caso di una clamorosa spaccatura in due del Movimento. Come del resto qualcosa potebbe muoversi al centro, se Fi non reggesse alle bordate di Toti e alla tentazione di confluire nel “polo sovranista”. Il Pd, per ora, può giocare di rimessa, provando a riallacciare rapporti con tutti i mondi estranei al populismo-sovranismo. In attesa di capire cosa accadrà al governo.

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