Pd verso intesa Senato, minoranza rilancia su legge stabilità

Pd verso intesa Senato, minoranza rilancia su legge stabilità
22 settembre 2015

di Enzo Marino

Non tutta la minoranza è ancora convinta, i duri preferirebbero trovare il modo di distinguersi, ma un’intesa nel Pd sulle riforme a questo punto sembra assai vicina. Il ‘lodo Tatarella’, ovvero il richiamo al sistema di elezione semi-diretta escogitato dall’ex parlamentare di An nel 1995 per i presidenti di regione, sembra essere l’escamotage giuridico per chiudere un accordo senza vinti né vincitori, o meglio in grado di far cantare vittoria a ciascuno dei protagonisti. Di fatto, la nuova Costituzione dovrebbe sancire il “principio”, come spiegato dallo stesso Matteo Renzi, che i consiglieri-senatori saranno indicati, designati, scelti dai cittadini, ma poi concretamente eletti a palazzo Madama solo con la ratifica dei consigli regionali. Una mezza acrobazia giuridica che nel 1995 si rese necessaria per introdurre di fatto l’elezione diretta dei presidenti di regione con una Costituzione che ancora non la prevedeva. Oggi, è lo strumento per permettere, appunto, a tutto il Pd di uscire indenne dal braccio di ferro.

Renzi, in direzione, oltre ad aprire sugli “aspetti tecnici”, come lui chiama la questione del sistema di elezione dei senatori, ha anche ribadito con la consueta rudezza alcuni concetti: “Senza riforme questa legislatura non esiste, e non è una minaccia per il futuro, è una constatazione”; “Non c’è un vincolo per i parlamentari ma c’è un principio di buonsenso: essendo ad un passo dal traguardo chi decide di interrompere questo discorso lo deve spiegare”; “Di fronte al continuo ritornello per cui con le riforme siamo a una svolta autoritaria e antidemocratica, una risata è l’unica risposta immaginabile”. Non solo, il premier ha anche pronunciato parole che difficilmente saranno piaciute a Pietro Grasso, quando ha detto che se ammettesse emendamenti su tutto l’articolo 2 “sarebbe un fatto inedito” e che invece limitarsi a rendere emendabile il comma 5 dell’articolo 2 sarebbe un’applicazione di “Costituzione e regolamento senza stravolgimento” e si troverebbe la soluzione in “10-12 minuti”. Ricordando che in caso contrario, “riuniremmo i gruppi di Camera e Senato per decidere cosa fare”: riferimento al rilancio per l’abolizione tout court del Senato, in reazione alla messa in discussione della doppia conforme.

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Un bicchiere che Gianni Cuperlo si è subito sforzato di vedere mezzo pieno, confermando il canale di dialogo aperto già da alcuni giorni: “Ciascuno deve riconoscere che non vi è una logica strumentale nell’altro, ma la responsabilità di consegnare un assetto credibile, equilibrato e moderno delle nostre istituzioni. Se in un clima di verità ci riconosciamo reciprocamente questo merito, credo che il traguardo si possa tagliare”. Molto ottimista anche il bersaniano Davide Zoggia che apprezza il sistema Tatarella evocato da Renzi, sia pure chiedendo che “venga esplicitato con maggior chiarezza”. Aperture sulle quali Renzi sapeva già di poter contare, quando aprendo la direzione ha avvertito: “Su questa riforma ci mettiamo la faccia nella campagna per il referendum confermativo, e voglio vedere chi farà i comitati del no…”. Anche per questo, in serata, persino Pier Luigi Bersani è arrivato a concedere un’apertura di credito. L’ex segretario Pd non si è presentato in direzione (“Ho letto che avrei disertato la direzione. No, ho mantenuto l’impegno con la grande festa dell’Unità di Modena”, ha voluto precisare) ma ha commentato: “Mi pare che Renzi abbia fatto un’apertura significativa e io voglio essere chiaro ancora una volta: se si intende, come mi pare di avere capito, che gli elettori decidono e scelgono i senatori e i consigli regionali ratificanoe ne prendono atto, va bene: sono d’accordo perché nella sostanza è quello che abbiamo sempre chiesto”. Quindi “decidono gli elettori, i senatori non li si fa in trattativa a tavolino. Meglio tardi che mai se è così”.

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I bersaniani, in realtà, ci tengono a tenere ancora aperta la questione. In direzione, del resto, mancava anche Massimo D’Alema e i senatori ribelli non hanno proferito parola. La linea è che tutto dipende da come verrà scritto l’emendamento che dovrà essere presentato entro mercoledì mattina, qualcuno dei duri preferirebbe ancora trovare un modo per distinguersi, magari non partecipando al voto perché il testo dell’emendamento non è soddisfacente. Tra renziani e minoranza, infatti, ora c’è la guerra mediatica per intestarsi il risultato: il premier tiene a precisare che la correzione concessa non cambia la sostanza, i consiglieri-senatori non sono eletti direttamente, o meglio sono eletti in quanto consiglieri regionali che andranno a fare anche i senatori ma solo come rappresentanti delle regioni. I bersaniani insistono sul fatto che “deve essere chiaro che decidono i cittadini”. Il lavoro di cesello per scrivere gli emendamenti è già in corso e, appunto, dovrà essere completato per mercoledì mattina. Salvo sorprese, l’accordo dovrebbe ormai essere fatto, ma forse è più corretto parlare di tregua, visto che Alfredo D’Attorre, bersaniano, ha già avvertito che se forse si sta chiudendo il fronte riforme, ce n’è già un altro che sta per aprirsi: “La prossima legge di stabilità sarà il vero crocevia per capire se dopo gli strappi su lavoro e scuola ci sia la possibilità di ricostruire una rotta condivisa”. A Renzi, per ora, basta e avanza.

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