Pd, voci su Braga capogruppo agitano la minoranza

Schlein prende tempo, ma per Bonaccini una grana da risolvere

Pd, voci su Braga capogruppo agitano la minoranza

Il completamento della squadra Pd richiederà ancora qualche giorno – “c’è tempo”, si limita a dire Elly Schlein ai cronisti alla Camera – ma tra i parlamentari si continua a parlare degli assetti da dare al partito e il clima comincia a surriscaldarsi. In queste ore prende consistenza l’ipotesi di una doppietta tutta appannaggio della maggioranza, Francesco Boccia al Senato e Chiara Braga alla Camera, o almeno questi sono i rumors di corridoio alla Camera, e la voce rischia di complicare il lavoro di Stefano Bonaccini, determinato a portare tutta la sua mozione nella gestione unitaria del partito concordata con la segretaria.

Come dice più di un parlamentare della minoranza “gestione unitaria vuol dire innanzitutto che c’è condivisione sui capigruppo, altrimenti stiamo fuori”. Qualcuno arriva a dire: “Se non ci danno un capogruppo e Stefano insiste la mozione si divide”. La Schlein, appunto, per ora prende tempo. Anche a più di un dirigente Pd ha detto che non si potrà fare un punto prima del fine settimana. Ma l’ipotesi Braga crea qualche sussulto anche tra i sostenitori della segretaria, perché la deputata “è una fedelissima di Franceschini” e tutta l’area ex Ds che ha sostenuto la Schlein uscirebbe da questo giro di nomine solo con qualche posto in segreteria, se si esclude il tesoriere Michele Fina, vicino ad Andrea Orlando.

D’altro canto, ammette un parlamentare, “è anche difficile immaginare ruoli per figure di primo piano come Orlando, Zingaretti, Provenzanoà Sono ex ministri, ex segretari, non è che puoi dargli un incarico in segreteria”. Ci sarebbe l’idea di eleggere Provenzano a capogruppo alla Camera, ma – dicono in molti – “come si fa a passare da due capigruppo donne a due uomini? Va bene che adesso abbiamo la segretaria donna, però”. Ma il ticket Boccia-Braga è al momento solo un’ipotesi, probabilmente la prima scelta che ha in mente la segretaria, ma da testare sondando gli umori dei parlamentari. I capigruppo vanno eletti e senza un accordo blindato si rischia addirittura una conta, come già capitò tra Debora Serracchiani e Marianna Madia.

Non è escluso che si finisca di nuovo a un ballottaggio, qualcuno potrebbe provare a riproporre il nome della capogruppo uscente alla Camera, se Bonaccini non riuscisse a persuadere tutta la minoranza, a cominciare da Base riformista, ma non solo. E qualcuno aggiunge: “Anche al Senato le cose non sono semplici, a palazzo Madama la presenza della minoranza è robusta”. Non basterebbe nemmeno, almeno così dicono i più insofferenti, “l’offerta di un vice-segretario. La Schlein proverà sicuramente a chiuderla così: vi do un vicesegretario e dei posti in segreteria, ma i capigruppo li nomino io. Ma così non ci stiamo”. Possono essere le normali fibrillazioni di un passaggio di fase, ma per la Schlein e Bonaccini c’è ancora da lavorare.