Pena di morte in ascesa, oltre il 40% delle esecuzioni per reati di droga

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Nel 2024, il numero di esecuzioni a livello globale ha raggiunto il livello più alto dal 2015, con oltre 1500 persone messe a morte in 15 stati. Questo preoccupante dato emerge dal rapporto annuale di Amnesty International intitolato “Condanne a morte ed esecuzioni 2024”. Secondo il documento, sono state registrate almeno 1518 esecuzioni, il numero più elevato negli ultimi nove anni. La maggior parte di queste si è concentrata in Medio Oriente, dove Iran, Iraq e Arabia Saudita hanno guidato un aumento vertiginoso delle condanne capitali.

Un trend preoccupante

Nonostante il numero di stati che praticano la pena di morte sia ai minimi storici (solo 15 paesi nel 2024), i dati riflettono un uso sempre più aggressivo di questa punizione nei contesti politici e sociali più repressivi. Iran, Iraq e Arabia Saudita da soli hanno totalizzato 1380 esecuzioni, pari al 91% del totale documentato.

L’Iraq ha quasi quadruplicato le sue esecuzioni rispetto all’anno precedente, passando da almeno 16 a 63; l’Arabia Saudita ha raddoppiato il suo conteggio annuo, arrivando a 345 vittime; mentre l’Iran ha registrato un aumento di 119 esecuzioni, portando il totale a 972.

Tuttavia, questi numeri non includono le migliaia di esecuzioni stimate in Cina, Corea del Nord e Vietnam, paesi notoriamente opachi sulle statistiche relative alla pena capitale. La Cina, in particolare, rimane il principale utilizzatore della pena di morte a livello globale, sebbene i dati esatti siano tenuti segreti.

La pena di morte come strumento di repressione

Secondo Amnesty International, la pena di morte è stata strumentalizzata da leader politici per consolidare il controllo e seminare paura tra la popolazione. In Iran, ad esempio, la repressione contro manifestanti e dissidenti ha incluso esecuzioni legate alle proteste del movimento “Donna Vita Libertà”. Due persone, tra cui un giovane con disabilità mentale, sono state giustiziate dopo processi iniqui basati su confessioni estorte con la tortura.

Anche in Arabia Saudita, la pena di morte è stata usata per soffocare il dissenso politico e punire minoranze etniche, come dimostra l’esecuzione di Abdulmajeed al-Nimr, accusato di terrorismo ma originariamente coinvolto solo in proteste pacifiche. Nel frattempo, negli Stati Uniti, dove Donald Trump ha invocato ripetutamente la pena di morte per crimini violenti, il numero di esecuzioni è salito a 25, contro le 24 dell’anno precedente. Le sue dichiarazioni hanno alimentato la falsa percezione che la pena capitale abbia un effetto deterrente unico contro la criminalità.

Il ruolo dei reati legati alla droga

Un aspetto particolarmente preoccupante evidenziato dal rapporto è l’aumento delle esecuzioni per reati legati alla droga, che rappresentano oltre il 40% del totale. Paesi come Cina, Iran, Arabia Saudita e Singapore hanno continuato a imporre la pena di morte per tali reati, violando gli standard internazionali che limitano la sua applicazione ai “reati più gravi”.

Questa pratica colpisce in modo sproporzionato individui provenienti da contesti svantaggiati, senza alcuna prova che contribuisca a ridurre il traffico di stupefacenti. Agnes Callamard, segretaria generale di Amnesty International, ha criticato duramente questa tendenza: “Le esecuzioni per reati legati alla droga sono illegali e inefficaci. Gli stati che promuovono questa pratica, come Maldive, Nigeria e Tonga, devono essere denunciati e incoraggiati a mettere i diritti umani al centro delle loro politiche”.

Segnali di speranza

Nonostante il quadro fosco, il rapporto evidenzia anche importanti progressi verso l’abolizione della pena di morte. Nel 2024, lo Zimbabwe ha abolito la pena capitale per i reati comuni, e il numero di stati che l’hanno eliminata dalle leggi o dalla prassi è aumentato a 145. Inoltre, le riforme in Malesia hanno ridotto drasticamente la popolazione dei bracci della morte, liberando oltre 1000 detenuti.

La mobilitazione della società civile ha prodotto risultati significativi. A settembre, Hakamada Iwao, che aveva trascorso quasi cinque decenni nel braccio della morte in Giappone, è stato assolto. In Alabama, Rocky Myers, un afroamericano condannato a morte nonostante gravi irregolarità processuali, ha ottenuto la commutazione della pena grazie alle pressioni della sua famiglia, degli attivisti e della comunità internazionale.

Verso un futuro senza pena di morte

Callamard ha concluso il rapporto con un messaggio di speranza: “Quando le persone si mobilitano per porre fine alla pena di morte, i risultati si vedono davvero. Nonostante una minoranza di leader politici continui a usarla come strumento di repressione, la tendenza sta cambiando. È solo una questione di tempo prima che il mondo si liberi definitivamente dell’ombra del patibolo”-

Mentre alcuni paesi persistono nell’applicazione di questa pratica crudele e inumana, il numero crescente di stati che la abbandonano e la mobilitazione globale contro di essa indicano che il cammino verso l’abolizione completa della pena di morte è inevitabile. Resta fondamentale mantenere alta l’attenzione e la pressione internazionale per accelerare questo processo.