Sorpresa. Il dossier pensioni, aperto e subito richiuso dal governo per il costo eccessivo di interventi radicali, può creare le premesse per unire i sindacati. Sempre divisi sulle azione da condurre nei confronti degli ultimi governi. Ora Cgil, Cisl e Uil tornano a ribadire il loro no all’automatismo per l’adeguamento dell’età pensionabile previsto dalla legge Fornero e annunciano iniziative unitarie nel caso in cui il governo dovesse decidere diversamente. Insieme hanno già inviato un messaggio a chi negli ultimi mesi ha espresso opinioni spesso controcorrente sul tema come il presidente dell’Inps, Tito Boeri, che ieri nell’intervento al Festival del lavoro, aveva osservato che bloccare gli automatismi è una strada pericolosa. “Siamo dell’opinione che il presidente dell’Inps dovrebbe occuparsi dei problemi dell’Inps e non di dettare le regole del sistema – ha sottolineato la leader della Cgil, Susanna Camusso a margine dell’incontro dei sindacati del G7 alla Reggia di Venaria nell’ambito del summit sul Lavoro – per noi il tema prioritario è dare risposte sia alle pensioni per giovani sia non continuare una rincorsa sulle aspettative di vita e quindi costruire forme di flessibilità. Se non ci saranno risposte in questa direzione decideremo cosa fare”. Anche la politica si muove e propone soluzioni in grado di venire incontro alle richieste di chi vuole uscire dal lavoro e le esigenze di controllo dei conti pubblici.
“Io ho proposto un ricalcolo col sistema contributivo delle pensioni in essere che eccedono una determinata soglia che per me sono 5mila euro. In pratica fino a 5 mila euro non si tocca niente, per la quota che eccede si verifica se hanno pagato i contributi”. Secondo Meloni “il tema delle pensioni è il più esplosivo perché avere nell’Italia di oggi persone che prendono 10-20-30-40-90 mila euro al mese per le quali non ha neanche lontanamente pagato i contributi necessari, a fronte di persone che non prenderanno la pensione prima dei 70 anni e che se andrà bene la percepiranno al 40% delle ultime retribuzioni è una cosa che grida vendetta”. Sarà dura per il governo alle prese con la legge di Bilancio allentare il pressing di chi chiede interventi previdenziali per favorire l’uscita flessibile dal lavoro. Anche perché in Parlamento si stanno affilando i coltelli. In particolare dalle parti della Commissione Lavoro di Montecitorio il cui presidente Cesare Damiano ha detto: “Non concordo con la valutazione di Tito Boeri sulla bontà degli automatismi pensionistici. Quando furono introdotti dal centrodestra l’età legale della pensione era intorno ai 60-61 anni. Oggi supera i 66 e, se il meccanismo viene mantenuto arriveremo, per i giovani che andranno in pensione alla metà di questo secolo, ai 70 anni di età.
Il problema non è bloccare il meccanismo per tutti e per sempre, ma fare i conti con due fatti nuovi: il primo è l’introduzione dell’anticipo pensionistico (Ape) che fissa l’età della pensione a partire dai 63 anni: non si può, da un lato, anticipare la pensione di 3 anni e 7 mesi e, dall’altro, posticiparlo di 5 mesi dal 2019, come se niente fosse. Forse qualche domanda ce la dobbiamo porre”. “Il secondo fatto – prosegue – è che l’aspettativa di vita non aumenta più in modo continuo e lineare: per la prima volta, nel 2015, è diminuita e, secondo i calcoli dei demografi, questo avverrà anche nel 2017. Di fronte all’ottusa applicazione di una norma inventata, a spese dei pensionati, per risanare i conti dello Stato, sarebbe meglio fermarsi a ragionare rimandando ogni decisione di aumento dell’età pensionabile al 2018. Infine, va notato che già nella legge di Bilancio dello scorso anno l’età pensionabile è stata bloccata per i lavori usuranti: quindi una correzione si può fare senza dover necessariamente fare del terrorismo contabile. Il governo dovrà dare una risposta su questo problema” conclude Damiano. Se parte l’alleanza sindacati-Parlamento sarà dura per il governo continuare a dire no.