di Filippo Caleri
Altro rinvio per il governo Renzi di un dossier atteso con impazienza da molti lavoratori italiani, quello sulla flessibilità in uscita, e cioè la pensione anticipata rispetto alla soglia fissate a 66 anni e 7 mesi o ai 42 anni di contribuzione. Il ministro del welfare Giulio Poletti lo scorso 27 ottobre annunciò una proposta per la flessibilità in uscita dal mondo del lavoro, nel 2016. “È un obiettivo del governo su cui –aggiunse – continueremo a lavorare”. La soluzione però, sottolineò il ministro, “deve essere sostenibile dal punto di vista sociale e del bilancio pubblico”. Insomma c’erano i soliti problemi di sostenibilità finanziaria (gli stessi che bloccano da decenni ogni tentativo di riforma espansiva a favore del lavoratori) ma almeno sui tempi della proposta sembrava che questo sarebbe stato l’anno buono. E invece no. La situazione per le finanza pubbliche non è così rosea, il debito continua a salire e l’Europa non sembra propensa a concedere margini ulteriori di flessibilità oltre a quelli già concessi. Così, con buona pace di chi aveva già messo nel conto una penalizzazione sull’importo dell’assegno previdenziale, pur di lasciare il posto a un giovane e magari dedicarsi al welfare di famiglia occupandosi ai nipoti, per ora l’esecutivo non ha alcuna intenzione di prendere in mano il dossier.
O meglio lo prenderà. Ma non subito. Solo alla fine dell’anno quando inizierà a delineare la nuova legge di Stabilità per il 2017, anno nel quale si dovrebbe capire che tipo soluzione il governo intenda prendere sul tema. “Il governo intende affrontare il tema della flessibilità in uscita in ambito pensionistico nella prossima legge di stabilità se il quadro di finanza pubblica lo consentirà” ha, infatti, affermato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, interpellato a margine di un convegno all’Istat. Nannicini ha sottolineato che “come già aveva detto Renzi i tempi non erano ancora maturi ma il tema resta e il governo intende affrontarlo se il quadro di finanza pubblica lo consentirà”. Il costo per finanziare la misura però non è indifferente ed è compreso tra 5 e 7 miliardi l’anno per diversi anni. Una spesa salata e difficilmente sostenibile. L’unica cosa certa è che, qualunque sia la proposta, ci saranno comunque delle “penalizzazioni per chi lascia il lavoro prima” ha detto Nannicini. Che ha affrontato anche il tema della reversibilità. “Non c’è mai stato alcun intervento. È la tipica tempesta in un bicchier d’acqua agitata ad arte da chi solleva problemi che non ci sono per poi prendersi il merito di averli risolti”. Quello che c’è, ha concluso Nannicini, “è una delega ampia sul riordino dei sistemi assistenziali”. Magra consolazione.