COSA E’ SUCCESSO
La People’s Bank of China ha spiegato che la mossa rappresenta “un aggiustamento una tantum” per riflettere il modo in cui calcola il fixing giornaliero, ossia il tasso di cambio contro il dollaro a cui fissa ogni giorno la valuta e dal quale alla valuta stessa è permesso muoversi fino al 2% sia al ribasso sia al rialzo. D’ora in poi quel tasso verrà calcolato non più al mattino ma alla chiusura dei mercati e verrà usato come punto di riferimento la chiusura del giorno prima (fino ad ora il fixing era determinato senza riferimento al mercato). Oggi quel tasso è stato fissato in modo tale che un dollaro comprasse 6,2298 yuan da 6,1162 yuan di ieri, una variazione dell’1,9%. Per capirne la portata basti pensare che il più grande ‘aggiustamento’ di quest’anno precedente a quello odierno era stato dello 0,16%.
COME VIENE INTERPRETATA LA MOSSA
Tecnicamente la Pboc dice di volere fare in modo che lo yuan sia più legato alle forze del mercato. Ma gli investitori stanno interpretando la decisione della banca centrale cinese come prova del fatto che la seconda economia al mondo sta andando peggio di quanto molti si aspettino, cosa che spiega per esempio il ritracciamento del petrolio e delle materie prime in generale (la paura è il calo della domanda dalla Cina). La più recente riprova dello stallo della congiuntura cinese sta nelle esportazioni. Come comunicato nel fine settimana scorso, a luglio il dato è sceso dell’8,3% rispetto a un anno prima, decisamente sotto le stime per una contrazione del 2,2%. Ma un renminbi – un altro nome per la valuta cinese – più debole, aiuta gli esportatori cinesi a vendere i propri prodotti all’estero. Questo non fa altro che riaccendere le critiche di chi (Usa in testa) accusa Pechino di tenere artificialmente bassa la propria valuta per sostenere il proprio settore manifatturiero (un tema che potrebbe tapezzare i dibattiti tra i candidati in corsa per la Casa Bianca). Il timore è il ritorno di una guerra valutaria destabilizzante in cui altre banche centrali nel mondo potrebbero a loro volta spingere al ribasso le rispettive valute proprio per aiutare i propri esportatori e prevenire cambi di direzione repentini di flussi di capitale. Uno yuan in caduta in genere aumenta il rischio di deflussi di capitale dalla Cina, già esacerbati dal sell-off sui listini asiatici osservato tra giugno e luglio e contenuto soltanto con l’intervento delle autorità. C’è poi il dubbio che Pechino possa usare sempre di più i tassi di cambio come strumento per spingere l’economia e dunque ridurre la dipendenza da stimoli monetari e fiscali. Per altro la decisione della Pboc arriva dopo meno di un giorno dalla pubblicazione di uno studio della Fed di San Francisco su come sia importante per la Cina l’implementazione di riforme fiscali e finanziarie per agevolare una transizione verso una crescita di lungo termine più sostenibile e dunque basata sulla domanda interna.
LE CONSEGUENZE PER LA FEDERAL RESERVE
Ora ci si domanda se la politica della Federal Reserve ne verrà condizionata e dunque se il mese prossimo ci sarà davvero il primo rialzo dei tassi dal 2006 o se invece il governatore Janet Yellen mostrerà più pazienza del previsto. Gli analisti sono divisi. Per alcuni la svalutazione dello yuan non può essere ignorata dalla banca centrale Usa, che si riunirà i prossimi 16 e 17 settembre. La mossa della Pboc infatti è vista come una “maggiore fonte di pressione al ribasso sull’inflazione”, dicono gli strategist di RBS, che si aspettanno divisioni all’interno del Federal Open Market Committee (il braccio di politica monetaria della Fed). Toni simili dagli esperti di Penn Mutual Asset Management, che sottolineano come la svalutazione dello yuan renderà il dollaro “ancora più forte”, un fattore che da vari trimestri sta pesando sui bilanci della Corporate America e che pesa anche sulle quotazioni del greggio. Altri analisti invece credono che il rallentamento della Cina non rappresenta una fonte notevole di preoccupazione per la Fed, che comunque monitora gli sviluppi internazionali. Per gli esperti di Neuberger Berman la banca centrale Usa è più focalizzata sul mercato del lavoro Usa, ormai vicino alla normalità. Ma come sottolineato ieri dal numero due della Fed, il vicepresidente Stanley Fischer, la Fed stessa ha un doppio mandato: oltre alla piena occupazione c’è la stabilità dei prezzi. E’ su quest’ultimo fronte che c’è ancora strada da fare visto che da oltre tre anni l’inflazione americana è al di sotto del target pari al 2%. Il principale motivo di questo trend “temporaneo” deriva dal “declino del prezzo del greggio e delle materie prime” che prima o poi si stabilizzerà, ha spiegato Fischer. Ma forse questo potrebbe portare la Fed a lasciare ancora una volta i tassi sui minimi storici a cui si trovano dal dicembre 2008, allo 0-0,25%.
LE IMPLICAZIONI PER IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE
Apparentemente la banca centrale cinese sta agendo per convincere l’istituzione guidata da Christine Lagarde a includere il renminbi nello Special Drawing Rights (Sdr), riserve di asset internazionali il cui valore si basa su un basket di valute chiave. Si tratta di una designazione che Pechino sta cercando di ottenere perché implicherebbe uno status globale della sua moneta e segnalerebbe alle banche centrali nel mondo che gli asset in renminbi rappresentano un investimento solido tanto quanto dollaro Usa, euro, sterlina e yen (parte di quel basket). Lo scorso 5 agosto l’Fmi aveva spiegato che la Cina deve fare di più per liberalizzare il suo sistema valutario affinché lo yuan possa conquistare lo status di valuta di riserva. La mossa della Cina non è forse casuale visto che il Fondo potrebbe decidere il destino dello yuan nel settembre 2016. Ma il problema sostanziale dello yuan non cambia: il Fondo ha detto chiaramente che il modo in cui il tasso di cambio viene fissato “non è basato sul mercato”. Anche se la Pboc sta muovendo passi in quella direzione, dicono gli analisti, difficilmente il governo cinese lascerà che sia il mercato a guidare la direzione della sua valuta perchè ciò sarebbe destabilizzante.
LE REAZIONI A CAPITOL HILL
La svalutazione dello yuan mette sotto pressione l’amministrazione Obama, che si prepara ad accogliere il presidente cinese Xi Jinping il mese prossimo. Il dipartimento del Tesoro ha sempre puntato sulla diplomazia per incoraggiare Pechino a liberare le sue politiche valutarie e allo stesso tempo ha bloccato i tentativi al Congresso di punire la Cina per i suoi interventi volti a rallentare l’ascesa del renminbi. Molti a Capitol Hill accusano Pechino di favorire il proprio settore manifatturiero mantenedo una valutazione bassa dello yuan a scapito dell’America. Quelle accuse tornano in auge oggi. “La Cina ha violato le regole del gioco con la sua valuta lasciando a secco i lavoratori americani”, ha dichiarato in una nota il senatore democratico Chuck Schumer, che insieme ad altri legislatori aveva appoggiato una legislazione volta a punire le manipolazioni valutarie nell’ambito dell’accordo sul libero scambio nel Pacifico. La Casa Bianca sta cercando una soluzione a metà.