Perchè l’economia della Cina non cresce più come una volta

Perchè l’economia della Cina non cresce più come una volta
19 ottobre 2015

La crescita economica della Cina ha accusato un ulteriore rallentamento, finendo ai minimi fin dalla recessione globale del 2009. Il 2015 si profila sempre più come l’anno più magro dal 1990, come era già accaduto con il 2014 e come, con ogni probabilità, accadrà anche nel 2016 che si annuncia ancora più debole. Eppure, il dato pubblicato dall’Ufficio nazionale di statistica cinese – una espansione su base annua del 6,9 per cento nel terzo trimestre – ha anche fornito argomentazioni a coloro che respingono gli allarmismi sulla situazione del gigantesco Paese. E così ha riacceso il dibattito sull’affidabilità dei dati “Made in China”. Tuttavia ora, al di là di questa sorta di confronto tra delatori e sostenitori di Pechino e della veridicità delle sue statistiche, emergono anche nuove e forse più approfondite interpretazioni del cammino intrapreso dal presidente Xi Jinping. Secondo un lungo articolo di analisi pubblicato sul sito internet di Foreign Affairs da due osservatori internazionali – Evan Feigenbaum dell’Università di Chicago e Damien Ma, del Paulson Institute – c’è un nesso tra il rallentamento economico e la decisione di Xi di ripulire i Partito comunista cinese, l’unica entità che reputi legittimato a guidare il Dragone, dalla corruzione che vi si era lievitata nei passati anni di forte crescita. Corruzione diventata una vera e propria “metastasi” che minaccia di uccidere l’organismo in cui cresce. Secondo gli autori Xi è disposto a sacrificare qualcosa in termini di Pil nel breve termine, pur di risanare il partito.

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Se gli riuscirà, il Partito ne risulterà consolidato e anche più efficace nel controllo dell’economia. Xi vuole farla finita con il “capitalismo di relazioni” e “i principini” (princeling), nomignolo dispregiativo affibbiato a figli e parenti degli alti dignitari del partito che negli ultimi anni venivano sistematicamente piazzati in posizioni chiave, dove raccogliere “i dividendi” della forte crescita economica. Tornando ai dati, il tasso di crescita appena segnato dal Pil è il più contenuto dal primo trimestre del 2009, ma al tempo stesso è migliore del 6,7 per cento atteso in media dagli analisti. Secondo alcuni osservatori, ad esempio Julia Wang di Hsbc, citata dal Financial Times, il dato rappresenta il minimo al di sotto del quale l’economia non dovrebbe rallentare. E rassicura sulla possibilità di centrare l’obiettivo di crescita ufficiale dell’intero anno: “attorno al 7 per cento”. Le cifre indicate da Pechino rappresentano una prima ricaduta nelle statistiche ufficiali dei molti mesi in cui dalla Cina sono arrivati molteplici segnali di rallentamento dell’economia. Tra l’altro accompagnati da un drammatico crollo dei mercati azionari. Dall’altro però proprio la modestia del contraccolpo rinnova i sospetti sulla genuinità dei dati. Ad esempio l’economista di JP morgan Zhu Haibin, che definisce le cifre “un tantino sconcertanti”, visto che i crolli delle Borse avrebbero dovuto farsi sentire sull’aggregato dei servizi, che invece ha segnato tassi di espansione solidi. Ancora più esplicito Julian Evans-Pritchard, di Capital Economics secondo cui in realtà la crescita cinese del terzo trimestre si è attestata “attorno al 4,5 per cento” mentre i dati ufficiali “sfortunatamente vanno presi con una certa prudenza, perché ormai il Pil sembra diventato un indicatore che fornisce un cattivo riscontro dello stato effettivo dell’economia”, e viene manipolato per scopi politici e propagandistici.

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Tornando all’interpretazione proposta su Foreign Affairs, che forse parte da una visione più di lungo termine, intanto si nota che Pechino non sembra minimamente preoccupata da questi rallentamenti dell’economia. “Xi sembra chiaramente pensare che il suo repulisti non può avvenire senza scossoni sul partito” e senza “dei costi sulla crescita nel breve termine”. La sua scommessa è rischiosa, visto che nelle precedenti pianificazioni quinquennali cinesi la cosa più temuta sembrava invece essere l’insorgere di tensioni che può derivare da meno crescita e lavoro. Xi invece vuole rispondere alle tensioni nate dall’odio suscitato da “nepotismi” e “capitalismo di relazioni”. Per questo ha messo al centro della sua azione quella Commissione centrale di ispezione e disciplina che se ieri era un ente semisconosciuto dell’amministrazione cinese oggi è di gran lunga il più temuto. “Quando gli ispettori della Commissione si presentano in una qualche amministrazione – scrivono Feigenbaum e Ma – i quadri locali tremano, e spesso addirittura scappano”. 

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