Politica

La politica delle sanzioni di Trump inasprisce i rapporti con Russia e Cina

Lo strumento con il quale il presidente degli Stati uniti Donald Trump sta combattendo la sua guerra contro quelli che considera gli avversari sullo scenario globale si chiama CAATSA, ovvero Countering Americas Adversaries Through Sanctions Act (Legge per contrastare gli avversari dell’America attraverso le sanzioni). E’ stato approvato nel 2017 e fornisce le coordinate legislative per una politica della pressione economica, sul modello di quella diretta alla Corea del Nord, alla quale Trump attribuisce le promesse di denuclearizzazione di Pyongyang, ma si allarga a Cina e Iran.

Mentre la Russia era già oggetto di sanzioni per il suo ruolo nel conflitto ucraino dal 2014. L’ultimo atto di questa strategia arrivato ieri. Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha autorizzato l’aggiunta di 33 funzionari russi della difesa e dell’intelligence alla lista di persone sanzionate. Washington ha inoltre imposto nuove sanzioni contro la struttura militare cinese per l’acquisto di aerei e missili russi, con effetto immediato. Ovvia la reazione immediata e furiosa di Mosca e Pechino.

Il Dipartimento di Stato, per quanto riguarda i funzionari russi, ha specificato che si tratta di individui ed entità, che fanno parte o hanno agito per conto dell’intelligence e della difesa del governo russo. La loro aggiunta alla ‘blacklist’ significa che chiunque farà affari con loro subirà le sanzioni statunitensi, come previsto dal CAATSA. “Continueremo ad applicare vigorosamente il CAATSA e invitiamo tutti i Paesi a limitare i rapporti con i settori della difesa e dell’intelligence della Russia, entrambi legati ad attività maligne in tutto il mondo”, ha spiegato ieri la portavoce Heather Nauer.

Nelle maglie del CAATSA è finito anche l’apparato militare cinese: il Dipartimento di Stato americano, in consultazione con quello del Tesoro, ha imposto sanzioni al Dipartimento per lo sviluppo degli equipaggiamenti militari (EDD), Li Shangfu, generale e ingegnere aerospaziale. La decisione è stata presa per le loro “significative” transazioni con Rosoboronexport, l’agenzia che si occupa dell’importazione e dell’esportazione di armi russe, che si trova sulla ‘blacklist’ statunitense. Tali transazioni “significative” comprendono la consegna alla Cina di aerei da combattimento di dieci Su-35 nel 2017 e del sistema missilistico terra-aria S-400 nel 2018. Le sanzioni bloccano qualsiasi transazione e proprietà negli Stati Uniti dei soggetti interessati; inoltre, a Li sarà impedito di ottenere un visto per gli Stati Uniti.

La Cina, va ricordato, non ha mai aderito alle sanzioni contro la Russia imposte dagli Usa e dai suoi alleati dopo l’annessione della Crimea e per il ruolo russo nel conflitto ucraino. Anche questo pacchetto di sanzioni, secondo un alto esponente dell’Amministrazione Usa interpellato dalla BBC, ha come obiettivo ultimo la Russia. “Le sanzioni CAATSA – ha assicurato – non puntano a minare le capacità di difesa di nessun particolare paese” ma invece “puntano a imporre costi alla Russia in risposta alle sue attività maligne”. Tuttavia, il fatto che puntino su Russia e Cina contestualmente, indica un messaggio ben preciso anche a Pechino, mentre altre potenze regionali che pure fanno affari con Mosca non vengono toccate. Finora, almeno.

L’Asia rappresenta qualcosa come il 70 per cento delle esportazioni militari della Russia. Ma il principale acquirente regionale e globale di armi russe non è la Cina, bensì l’India. Nel 2016-17 a Nuova Delhi sono stati consegnati 42 aerei Sukhoi Su-30MK, due AWACS A-50ehl, oltre a MiG-29 ed elicotteri. Ancora, ha acquistato 1.000 carri T-90 negli ultimi anni,e lo scorso anno cinque sistemi di difesa missilistica S-40 per un valore di 5 miliardi di dollari. Ha anche ordinato un sottomarino di classe Akula nel 2016, che deve essere consegnato nel 2022.

Infatti oggi la stampa indiana si chiede se questi affari, soprattutto quello degli S-400, non possa portare all’applicazione del CAATSA e quindi anche a sanzioni anche contro Nuova Delhi. La mossa di Washington contro Pechino, in realtà, s’inquadra in un momento di pesante tensione tra le parti sul fronte commerciale. Trump ha lanciato lunedì nuove tariffe contro 200 miliardi di esportazioni cinesi verso gli Usa, Pechino ha risposto colpendo prodotti americani per 60 miliardi di dollari. Le due parti avevano già imposto nuove tariffe su 50 miliardi di dollari per ognuno dei paesi.

Sul fronte militare il rischio di collisione è sempre più concreto. La Cina, sempre più assertiva sui mari, rivendica l’80 per cento del Mar cinese meridionale, gli Usa contrastano questa pretesa con movimenti di navi militari nell’ambito dei programmi per la “libertà di navigazione” (FON, Freedom of Navigation). In questa cornice s’inserisce anche il ruolo rivendicato e giocato dalla Russia di Vladimir Putin, che dà segnali di grande attivismo sul fronte dell’Asia orientale. Dall’11 al 17 settembre si sono tenute le più grandi manovre militari della storia russa, che hanno avuto come scenario proprio quella delicata regione.

A queste manovre, hanno preso parte anche le forze cinesi. Dopo l’imposizione delle nuove sanzioni, il messaggio che sembra partire da Pechino e Mosca è che la politica delle pressioni non riesce a spaccare la convergenza strategica tra le due potenze in Asia orientale. Mosca ha accusato Washington “giocare col fuoco” e di mettere a rischio la “stabilità globale”. Pechino s’è detta “indignata” per un gesto che va “contro le norme internazionali”, che se non verrà ritirato porterà a “conseguenze”. E ha anche chiarito che le compravendite di armi con la Russia è nell’ambito di una “cooperazione strategica” volta ad assicurare “la stabilità e la pace nella regione e nel mondo”. askanews

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