Vertice Ue, Meloni media sui migranti ma non basta. Polonia e Ungheria nell’angolo

Michel: patto valido, gli Stati dovranno applicarlo. “Non c’è stata unanimità ma una larga convergenza a 25 che era stata assente negli anni passati” VIDEO

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Giorgia Meloni e Viktor Orban, sullo sfondo, Mateusz Morawiecki

La foto simbolo del giorno è quella che ritrae Giorgia Meloni su un divanetto della sede della delegazione italiana al Consiglio europeo, intenta a parlare con il il primo ministro della Polonia, Mateusz Morawiecki, e con il premier ungherese Viktor Orban. Potrebbe essere un colloquio come tanti, tra leader politici che spesso si sono trovati sullo stesso fronte a reggere le sorti dell’asse sovranista a Bruxelles. Solo che questa volta è diverso. Perché da una parte c’è la presidente del Consiglio che difende il Patto sulle migrazioni e l’asilo approvato l’8 giugno dai ministri dell’Interno, e dall’altro i due Paesi che vi si sono opposti al punto da bloccare l’adozione delle conclusioni da parte dei 27. Di mezzo, un tentativo di mediazione che però alla fine cade nel vuoto.

Ieri sera, infatti, al termine di una giornata che si è trascinata fin oltre l’una di notte proprio per discutere di questo punto, la premier – come hanno riferito fonti del Consiglio – ha raccolto la sollecitazione del presidente Charles Michel e di altri Paesi a farsi portavoce di un tentativo di sbloccare lo stallo. Il colloquio a tre della mattinata però non basta. Finisce che invece delle conclusioni del Consiglio c’è una dichiarazione di Michel. Finisce, dunque, che da una parte ci sono 25 Paesi, tra cui l’Italia, e dall’altra Polonia e Ungheria. Giorgia Meloni, tuttavia, riesce comunque a dirsi “soddisfatta” dell’esito del vertice e, soprattutto, del “ruolo da protagonista” giocato dall’Italia. Si dice particolarmente contenta del consenso ricevuto dagli altri Paesi sulla proposta di partenariato con la Tunisia che “può diventare un modello”.

Più di tutto, rivendica di aver fatto cambiare approccio all’Europa sull’immigrazione portando l’attenzione sulla “dimensione esterna” e non su quella interna, ossia quella della “solidarietà obbligatoria” o dei ricollocamenti che sono esattamente i punti contestati dai due Paesi. Una presidente del Consiglio, dunque, in versione europeista. Che però non prende nemmeno le distanze dai colleghi sovranisti. “Non sono mai delusa da chi difende i propri interessi nazionali”, dice. In cosa sia consistita la mediazione lo fa capire la stessa Giorgia Meloni. “La questione che pongono – osserva – non è peregrina, perché Polonia e Ungheria sono le due nazioni che in Europa si stanno occupando di più dei profughi ucraini. Lo fanno con risorse da parte della Commissione che sono insufficienti”. Insomma, non solo una questione di principio ma anche di fondi. La premier assicura che continuerà a lavorarci già a partire da mercoledì prossimo quando sarà a Varsavia per un appuntamento di Ecr.

Nel racconto della presidente del Consiglio, insomma, l’Italia torna piena di soddisfazioni e di risultati da questo Consiglio. Anche sul fronte economico. “Ci eravamo presentati chiedendo pari condizioni per i Paesi con meno spazio fiscale, vale a dire la flessibilità dell’uso dei fondi esistenti. Oggi nelle proposte della Commissione questo elemento è presente e per l’Italia tra Pnrr e fondi di Coesione vuol dire 300 miliardi di euro che possono essere meglio spesi”, sottolinea. E a proposito di Pnrr, Giorgia Meloni nega che l’erogazione della terza rata si stia ulteriormente complicando: non si è “aggravata” anzi “stiamo lavorando bene”, sostiene. Né ammette di avere gli occhi degli altri Paesi puntati addosso per la scelta di non aver ancora ratificato il Mes. “Il tema – risponde – non mi viene posto. Per cui evidentemente è possibile che ci sia molta meno attenzione di quanta ne diamo noi nel dibattito italiano”.