Economia

Post Covid-19, la Cina riprende a crescere prima degli altri

La Cina è tornata. Ammesso che se ne fosse mai andata. Dopo essere stata all’origine della pandemia che ha sconvolto le economie della gran parte dei paesi del mondo, Pechino ha ripreso a crescere e si propone come centro d’attrazione per gli investimenti. La seconda economia del mondo, mentre la prima è impelagata nella crisi pandemica, ne è insomma uscita e guadagna terreno.

Pechino “sta affrontando l’epidemia COVID-19 e lo sviluppo socio-economico in maniera coordinata, puntando a una decisiva vittoria nella costruzione di una società moderatamente prospera su tutti i fronti e nella lotta per sradicare la povertà”, ha scritto il presidente Xi Jinping in una lettera destinata agli amministratori delegati del Global CEO Council. A quanti, tra febbraio e marzo, prevedevano la fine della spinta propulsiva cinese a causa dell’epidemia COVID-19, oggi è arrivata una risposta dai numeri. La Cina è la prima grande economia che si sfila via dal territorio negativo, evitando persino di entrare in recessione tecnica, che viene dichiarata quando il segno meno nell’andamento del Pil prevale per due trimestri consecutivi.

I numeri parlano chiaro: il prodotto interno lordo cinese – secondo quanto ha annunciato oggi l’Istuto nazionale di statistica – nel secondo trimestre del 2020, tra aprile e giugno, è cresciuto del 3,2 per cento, dopo un calo del 6,8 per cento nel primo. A guardar il bicchiere mezzo vuoto, nel primo semestre la Cina per la prima volta in un trentennio ha “bucato” il suo obiettivo di crescita, attestandosi su un -1,6 per cento. Ma, francamente, quale grande economia oggi può vantare una trimestrale in territorio positivo? Va anche considerato che, oltre al nuovo coronavirus, la Cina è al centro di una guerra politica e commerciale con gli Stati uniti, che certo non aiuta gli affari. Ogni giorno vengono imposte sanzioni diverse e gli ostacoli a un commercio libero – di cui paradossalmente il comunista Xi è diventato l’alfiere mondiale – diventano sempre più alti. La pandemia, in questo senso, ha contribuito ulteriormente ad alzare i muri.

Ovviamente, se prendiamo il semestre, molti indicatori risultano in negativo: le vendite al dettaglio su base annua sono calate dell’11,4 per cento e gli investimenti del 3,1 per cento. Ma tutto ciò va sempre rapportato a un contesto globale in caduta libera. Invece, il dato della disoccupazione è molto rincuorante: a giugno è stata del 5,7 per cento, con un calo dello 0,2 per cento rispetto a aggio. E, nello stesso mese, la produzione industriale è cresciuta del 4,8 per cento, segnando un terzo mese consecutivo di crescita. A fine giugno il Fondo monetario internazionale – che prevede un calo dell’economia globale per il 2020 del 49 per cento e degli Stati uniti dell’8 per cento – ha previst che il Pil cinese dovrebbe crescere dell’1 per cento.

Questo contesto fa dire a Xi che “i fondamentali positivi della crescita economica della Cina di lungo termine non sono cambiati e non cambieranno”. E fa consiglieare al presidente di puntare su Pechino, assicurando che verranno effettuate riforme, verrà approfondita l’apertura e verrà creato “un migliore contesto per gli investimenti e lo sviluppo delle imprese cinesi e straniere”. Le priorità individuate dal presidente sono sei: occupazione, condizioni di vita delle persone, sviluppo del mercato, sicurezza alimentare ed energetica, catene di approvigionamento per l’industria stabili, funzionamento regolare delle comunità e stabilità nelle aree dell’impiego, della finanza, del commercio, estero, degli investimenti esteri e interni e del mercato. Agli imprenditori che hanno investito in Cina, Xi lancia un messaggio netto, cristallino: “Avete fatto la giusta scelta a mettere radici da noi”. Ma non tutti la pensano così. Oggi le borse di Shanghai e Shenzhen hanno chiuso con un -4,8 per cento, che cozza abbastanza con dati economici migliori del previsto.

Secondo il New York Times il motivo di questa sfiducia dei mercati sta nella sostenibilità della ricetta messa in campo da Pechino per tornare alla crescita: stimolo economico guidato dal governo, incremento della spesa pubblica. Costruzioni, strade, ferrovie, infrastrutture insomma. “Si tratta solo di investimenti”, ha spiegato Hong Hao, chief strategist della Bank of Communication International al NYT. “I consumi, che sono la parte più sostenibile della crescita, vanno molto meno bene. Di conseguenza il mercato vede una debolezza della salute economica”, continua. Altro punto di fragilità è l’andamento delle esportazioni. In un momento di globale crollo delle economie, un paese che punta così tanto sull’export come la Cina non può certamente ritenersi al sicuro. E anche i consumi interni sono calati: la gente esce meno, va meno nei ristoranti, viaggia meno, si arrischia meno ad acquistare beni non essenziali. E, mentre la capacità produttiva è tornata a crescere, è sul lato della domanda che potrebbero esservi le peggiori sorprese. askanews

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