“Se il presidente del Consiglio vuole che lasciamo, ci mettiamo un quarto d’ora”. Sulla prescrizione, Matteo Renzi, continua a giocare d’azzardo. D’altronde, checchesenedica, sulla spinosa questione giustizia, proprio l’ex premier, sa di avere il pallino in mano. E a sentire un politico navigato come Pier Ferdinando Casini, che da trentasette anni sta in parlamento, qualcosa vorrà pur significare. “Renzi ha ottenuto sulla prescrizione un risultato tutt’altro che insignificante. Non trascurerei di valorizzarlo”, irrompe nel bel mezzo dello scontro nel governo, l’eterno democristiano eletto senatore nel Pd. Un risultato, quello di sfilarsi dall’accordo con Pd-M5s e LeU, e che ora gli permette di mettere qualche altro colpo in canna. “Per me – tuona Renzi – non ci sono i numeri in Parlamento per andare al muro contro muro. Se il Pd appoggia i Cinquestelle nella ricerca del muro contro muro, mi dispiace, facciano loro, mi auguro che abbiano fatto bene i calcoli”. Il pallottoliere non sconforta certo il leader di Italia Viva, come vedremo più avanti. Uno scenario che gli consente di continuare a punzecchiare il suo ex partito.
“Quello che sinceramente non riesco a capire è come faccia il Pd, che ha i numeri, che ha fatto un bel risultato in Emilia Romagna, a non utilizzare la forza di questo esito per dettare l’agenda, ma inseguire l’agenda su una vicenda come quella della giustizia, perché il principio di fondo di questo accordo a tre è che rimane il ragionamento bonafediano sulla prescrizione”, puntella Renzi. Quanto basta per istallare dubbi nello stesso Pd, che meno di quarantott’ore fa ha firmato un accordo con 5stelle e LeU sulla prescrizione. “Non perfetto, migliorabile”, puntella dopo l’intesa raggiunta, il capogruppo dem al Senato, Andrea Marcucci che punta ora il dito anche contro Giuseppe Conte. Nei rapporti all’interno della maggioranza, secondo Marcucci, sbagliano sia Renzi, quando “attacca pesantemente il Pd”, sia il premier, che “dovrebbe correggere il tiro di qualche sua dichiarazione”. Da qui il messaggio di pace di Marcucci ai renziani: “Mettere a rischio la coesione politica di questa maggioranza sarebbe un errore imperdonabile”.
E dire che proprio Nicola Zingaretti s’è affidato a Conte per trovare una sintesi tra le diverse posizioni. I 5stelle, dal canto loro, non demordono. Per Vito Crimi tutto è a posto. Di più, “da lunedì ripartiamo con l’agenda di governo 2023: meno tasse e più lavoro”. Per il nuovo capo politico pentastellato, sulla prescrizione “abbiamo raggiunto un’ottima soluzione: mai più cittadini vittime che vedranno lo Stato gettare la spugna”. Anche il ministro della Giustizia sembra aver archiviato la “pratica” Italia viva. “Su certe cose chiaramente ci sarà sempre qualcuno che non sarà contento – dice Alfonso Bonafede – però se cominciamo a dire ‘ma io ho i voti in Parlamento’, anche i 5stelle hanno i voti in Parlamento, come il Pd e come Leu, non è che ogni volta possiamo far valere un diritto di veto, è questo che secondo me è sbagliato”. Ma come detto, il pallottoliere darebbe ragione a Renzi.
Nella migliore delle ipotesi, al Senato, la maggioranza si fermerebbe a quota 155 contro i 161-162 voti che hanno sulla carta tutte le opposizioni più i renziani. In dettaglio: dopo le fuoriuscite, il M5s ha 98 senatori; 36 Pd; 8 del gruppo Per le Autonomie (di cui 7 solitamente votano con il governo); 19 gruppo Misto, tra cui 4 senatori LeU e dei quali solo 14 sono schierati con la maggioranza. Dal fronte opposizione, 61 Fi; 60 Lega; 18 FdI; il senatore del gruppo Per le Autonomie; 5 del Misto. Va da sé che in questo scenario vanno aggiunti i 17 senatori renziani. Certo, non stiamo tenendo in considerazione il “partito invisibile” sempre pronto a votare in Aula per non fare cadere il governo. Ma questo il pallottoliere non può conteggiarlo.