Bolsonaro e Haddad i favoriti. Cresce l’ultradestra

Bolsonaro e Haddad i favoriti. Cresce l’ultradestra
Da sinistra: Jair Bolsonaro, Geraldo Alckmin, Fernando Haddad, Marina Silva e Ciro Gomes
6 ottobre 2018

Domani i brasiliani sono chiamati alle urne per il primo turno delle elezioni (del presidente, dei governatori, dei deputati e di due terzi dei senatori) in un clima di grande polarizzazione nel più grande Paese dell’America Latina, segnato da numerose e profonde crisi. Il panorama politico brasiliano appare sempre più polarizzato, con il candidato dell’ultradestra Jair Bolsonaro favorito al primo turno con il 35% delle preferenze accordategli dall’ultimo sondaggio (era al 32% martedì), contro il 22% del principale rivale del partito dei lavoratori, Fernando Haddad.

Una polarizzazione favorita in primo luogo dagli stessi partiti e dall’establishment economico, che non vuole tornare alle polemiche politiche finanziarie del Pt e intende insistere invece su una strategia di privatizzazioni e liberalizzazioni: ai mercati Bolsonaro appare il minore dei mali rispetto alla vittoria di Haddad. La borsa infatti da un paio di giorni festeggia, convinta che l’ex capitano dell’esercito, nostalgico della dittatura militare, possa farcela al secondo turno. Secondo il sondaggio pubblicato stanotte da Datafolha Bolsonaro al ballottaggio del 28 ottobre avrà il 44%, contro il 43% di Haddad, un distacco comunque inferiore al margine d’errore del due per cento.

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In realtà il “piano” a lungo termine della destra per riconquistare il potere passava sì dall’impeachment di Dilma Rousseff e dall’offensiva giudiziaria contro Luiz Inacio Lula da Silva, il grande favorito alle urne: ma prevedeva che a rappresentarla sarebbe stato il candidato di sistema, Geraldo Alckmin, al quale i sondaggi danno appena l’8% dei voti. Il successo di Bolsonaro, la cui popolarità si basa soprattutto sulla rete social, è risultata una sorpresa non del tutto gradita anche per i conservatori: ma qualsiasi alternativa a un ritorno del detestato Lula o di un altro candidato del Pt viene a questo punto ritenuta accettabile.

Ma anche lo stesso Pt cerca di sfruttare al massimo la minaccia “fascista” rappresentata da Bolsonaro – ex capitano dell’esercito e strenuo apologeta della dittatura militare al potere per vent’anni fino agli anni Ottanta – nella speranza di raccogliere il voto di tutta la sinistra e di quella parte dell’opinione pubblica – specie donne, neri ed omosessuali, categorie più volte insultate dal candidato – che di Bolsonaro non vuole saperne. Haddad, ex sindaco di San Paolo ed ex ministro, ma politicamente uno sconosciuto per il resto del Paese, ha avuto appena quattro settimane per cercare di uscire dallo scomodo cono d’ombra di Lula (il quale, sondaggi alla mano, avrebbe comodamente vinto anche dal carcere se la sua candidatura non fosse stata esclusa dalla magistratura): se il passaggio al ballottaggio appare ragionevolmente sicuro, l’esito finale rimane invece incerto.

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Tuttavia, se anche il voto presidenziale rischia di far cadere il Brasile in un territorio sconosciuto, con un Capo di Stato appartenente all’ultradestra, le concomitanti elezioni politiche ed amministrative non dovrebbero invece rappresentare un cambiamento radicale (il sostegno a Bolsonaro non si estende al suo partito, un movimento minoritario che non arriva al 10% delle intenzioni di voto). Chiunque approdi finalmente a Planalto si troverà davanti una situazione tutt’altro che facile: una violenza urbana e criminale che in sette anni ha causato più vittime della guerra in Siria, un’economia in crisi con 13 milioni di disoccupati e un aumento sia del deficit che delle diseguaglianze sociali – epr non parlare della piaga trasversale della corruzione della politica che spiega in buona parte il successo di Bolsonaro, uno dei pochi non indagati in lizza.

La ricetta di Bolsonaro – che ammette di non sapere nulla di economia – è facilitare il porto d’armi, legalizzare l’uccisione extragiudiziale dei “banditi” da parte della polizia, nominare sei generali alla carica di Ministro, fare piazza pulita delle “élite corrotte” ed adottare un programma economico ultraliberista, come vorebbero i mercati. Haddad da parte sua aspira a “rendere di nuovo la gente felice” come ai tempi dei primi due mandati di Lula, segnati dalla crescita economica e dalle politiche sociali di ridistrubuizione del reddito, oltre a scongelare la spesa pubblica e ad imporre un più rigido controllo sul possesso delle armi da fuoco. Per gli altri candidati, solo le briciole: già detto di Alckmin, l’esponente del centrosinistra Ciro Gomes è accreditato appena dell’11% (i suoi voti potrebbero però risultare decisivi per Haddad al ballottaggio) mentre la Verde Marina Silva, che alle ultime presidenziali aveva raccolto 20 milioni di voti ed era partita come seconda forza dietro Lula, è crollata al 4%.

Sette cose da sapere per seguire la partita elettorale del 7 e 28 ottobre

– Il jolly dell’estrema destra. I sondaggi lo dicono da settimane, il deputato Jair Bolsonaro ha la certezza di arrivare al ballottaggio, sotto le insegne del suo piccolo partito, il Psl, Partito social-liberale. Ma se dal 24 settembre è stimato perdente contro quasi tutti i possibili avversari al ballottaggio, l’ultimo sondaggio dell’Ibop ha segnalato un suo balzo in avanti al primo turno, con il 31%, e una pareggio con il candidato della sinistra Fernando Haddad con il 42% ciascuno al ballottaggio. Se Bolsonaro fosse eletto presidente, il Brasile sceglierebbe per la prima volta un capo dello stato di estrema destra, estimatore della dittatura militare del periodo 1964-85 e apologeta dei torturatori.

– La sinistra arranca. Dopo l’esclusione dalla gara dell’ex presidente Luis Inacio Lula da Silva, in carcere per corruzione, il suo sostituto Fernando Haddad, ex sindaco di San Paolo, ha continuato a salire nei sondaggio dopo la sua tardiva entrata in campagna elettorale, l’11 settembre. Haddad, che guida il Partito dei lavoratori (Pt), dovrebbe arrivare al ballottaggio con Bolsonaro. Per la prima volta un sondaggio la scorsa settimana l’ha dato vincente al secondo turno oltre il margine d’errore, ma un ulteriore rilevamento lo ha piazzato in parità con Bolsonaro, segnalando una dinamica favorevole al candidato di estrema destra. Se Haddad sarà eletto presidente, il Pt vincerebbe la sua quinta elezione presidenziale consecutiva dal 2002, dopo quelle di Lula (2002 e 2006) e della sua delfina Dilma Rousseff (2010, 2014). Il presidente uscente Michel Temer (espondente del centrodestra del MDB) è arrivato a potere con la destituzione di Rousseff, di cui era vice.

– Lula, il grande favorito, fuori dai giochi. Il grande favorito Lula (quasi 40% delle intenzioni di voto), è stato estromesso definitivamente dalla gara ad agosto al termine di una complicata vicenda politico-giudiziaria. La nebbia sulla sorte di Lula ha reso il voto il più incerto dei tempi moderni in Brasile, lasciando con il fiato sospeso il suo partito e l’intero paese.

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– L’attacco a Bolsonaro. Colui che è diventato poi il favorito al primo turno, Jair Bolsonaro, scampato alla morte dopo essere stato accoltellato all’addome all’inizio di settembre nel corso di una manifestazione elettorale. Ricoverato in ospedale per più di tre settimane, non è stato in grado di fare campagna nelle strade e non ha partecipato ai dibattiti elettorali, cosa che – secondo vari osservatori – lo ha favorito, perchè gli attacchi dei candidati minori si sono concentrati su Haddad. Convalescente, durante gli ultimi giorni della campagna, si è fatto intervistare da un canale tv molto vicino agli evangelici – che costituiscono la più solida base del suo elettorato – e ha avuto così modo di rilanciare i suoi argomenti e le sue promesse senza alcun contraddittorio.

– Le inchieste. A parte Lula in carcere per corruzione, la gran parte dell’élite brasiliana sulla lista nera dei magistrati dovrebbe restare al suo posto. I rais locali saranno rieletti. O i loro figli lo saranno al posto loro. In questo senso, la gigantesca inchiesta “Lava Jato” (“Autolavaggio”), se ha permesso di mettere in causa, e in alcuni casi incarcerare, decine di esponenti politici di quasi tutti i partiti, non ha rivoluzionato la pratica politica in Brasile.

– I mercati. L’avvento al potere di Bolsonaro sarebbe per i mercati un male minore, anche se il candidato ha confessato la sua incompetenza assoluta in economia. Bolsonaro ha nominato il suo “super-ministro dell’economia”, Paulo Guedes, un “Chicago boy” ultra-liberale. I mercati non vogliono il ritorno della sinistra con Haddad. Lula, che li aveva tanto spaventati nei primi anni 2000, era stato in grado riconciliarsi con i mercati.

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– Cosa vogliono i brasiliani? Una seria spinta, grazie a riforme coraggiose, a un’economia che non riparte dopo due anni di recessione storica (2015-16) e ha quasi 13 milioni di disoccupati. Fermare il ciclo della violenza armata, un’ altra rande preoccupazione dei brasiliani insieme alla sanità, l’educazione e l’alloggio – settori che hanno estremo bisogno di risorse.

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