Presidenziali, Clinton accusa l’Fbi per la sconfitta. Sanders travolge il partito democratico

Presidenziali, Clinton accusa l’Fbi per la sconfitta. Sanders travolge il partito democratico
14 novembre 2016

Hillary Clinton ha accusato il direttore dell’Fbi, James Comey, della sua sconfitta alle elezioni presidenziali americane. Lo avrebbe detto la stessa Clinton durante una conference call con i principali finanziatori della sua campagna. Lo riferiscono due degli interlocutori che hanno preso parte alla riunione telefonica. L’ex candidata democratica alla Casa Bianca era data favorita in tutti i sondaggi nazionali ma è stato il repubblicano Donald Trump a vincere le elezioni, una sorpresa per molti che ha mosso proteste in varie città. Hillary, che dalla sconfitta ha mantenuto un basso profilo, nel corso della telefonata con i suoi sostenitori, ha detto che Comey è responsabile del suo fallimento dopo che ha deciso di inviare una lettera al Congresso alcuni giorni prima delle elezioni, annunciando la riapertura dell’istruttoria sulle comunicazioni scambiate via mail con un server privato quando era segretaria di Stato tra il 2009 e il 2012.

Comey, una settimana dopo aver esaminato le mail, decise però di non procedere contro Clinton, ma il danno politico era ormai compiuto. Hillary ha poi continuato, parlando ai suoi contributori, dicendo che Trump è stato in grado di cogliere entrambe le comunicazioni di Comey a suo favore per attaccarla. Lo scandalo delle email era scoppiato nel 2015 quando i media rivelarono che, durante i suoi quattro anni nel Dipartimento di Stato, Clinton usò in ogni momento un account di posta personale per le sue comunicazioni con un server privato. L’ex First lady ha poi ammesso che “sarebbe stato più intelligente usare un account ufficiale” nel corso delle oltre tre ore di interrogatorio nel quartier generale dell’Fbi nel luglio scorso, quando aveva consegnato circa 55mila pagine di email legate al suo impiego come segretaria di Stato perché fossero pubblicate. Ma il caso aveva sollevato dubbi sul fatto che informazioni segrete del governo furono usate indebitamente su un account personale.

Il Dipartimento di Stato aveva identificato inoltre altre 2.100 email con informazioni confidenziali, assicurando comunque che molte di loro non erano considerate “classified” (segrete) al momento dell’invio. A luglio l’Fbi aveva poi di fatto archiviato il caso e, pur criticando la grave negligenza dell’allora segretaria di Stato per l’uso di un server privato, aveva escluso responsabilità penali. Il 28 ottobre il direttore dell’Fbi, James Comey, ha però inviato una lettera al Congresso annunciando la riapertura delle indagini su nuove email trovate mentre il Bureau “indagava sullo scambio di immagini a sfondo sessuale da parte di Anthony Weiner, il marito della braccio destro di Hillary, Huma Abedin”. Le migliaia di email nuove sono state quindi rinvenute in seguito al sequestro di dispositivi elettronici appartenenti ad Abedin e al marito Anthony Weinern, indagato per “sexting” con una 15enne del North Carolina. Domenica 6 novembre Comey annuncia che, dopo l’analisi del materiale, il Bureau decide di non procedere contro Clinton.

Intanto, all’interno del partito democratico volano accuse reciproche. E secondo alcuni la rivoluzione iniziata da Bernie Sanders, lo sfidante di Clinton alle primarie, sta per ripartire. L’obiettivo è sostituire funzionari del partito con persone più progressiste negli Stati come il Maine, il Nebraska e il Wisconsin dove il senatore del Vermont ha vinto contro Clinton. Ad essere chiamati in causa sono anche i leader del partito a Washington che tacitamente hanno sostenuto la candidatura dell’ex first lady (cosa esposta dalla pubblicazione da parte di WikiLeaks di email del Democratic National Committe, l’organo che governa il partito e i cui vertici sono stati successivamente azzerati per via dello scandalo). In gioco c’è anche la poltrona di presidente del Dnc, tanto più che il partito non ha saputo riconquistare né la Camera né il Senato. Sanders ha proposto la deputata Keith Ellison.

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