Le elezioni presidenziali in Iran di venerdì prossimo si profilano come una scelta tra la moderazione del presidente uscente Hassan Rohani e la linea dura del suo principale sfidante, il religioso Ebrahim Raisi, con importanti implicazioni per diverse questioni: dai diritti civili, all’economia e il commercio con l’estero, ma anche e soprattutto ai rapporti con Washington dai quali dipendono l’accordo nucleare e la stessa legittimità del regime, alimentata ogni quattro anni non tanto da chi vince ma da una forte partecipazione al voto. Rohani è ancora visto come il favorito, ma si trova di fronte ad un compito più duro di quanto previsto a causa della sfida di Raisi, che ha radunato tradizionalisti religiosi e gli elettori della classe operaia delusi da un economia stagnante.
LEGITTIMITA’ DEL REGIME Per Clemente Therme dell’International Institute for Strategic Studies, l’affluenza alle urne sarà il più grande problema per l’elezione. “Il regime ha bisogno di partecipazione. Ciò che conta di più è l’affluenza, non il risultato”, ha detto. “E’ un difficile equilibrio: se controllano troppo, la gente non si preoccuperà del voto e può anche utilizzare l’astensione per esprimere la sua insoddisfazione”. Con molti delusi dalla mancanza di miglioramenti dopo le elezioni passate, il timore del regime islamico tale da aver spinto il leader supremo Ayatollah Ali Khamenei ad invitare gli elettori a una massiccia partecipazione.
ACCORDO NUCLEARE Visto il tacito assenso del leader supremo, Raisi sostiene l’accordo nucleare siglato nel 2015 da Teheran con le potenze mondiali in cambio di un alleggerimento delle sanzioni internazionali. “La questione nucleare non è decisa dal presidente e il futuro dell’intesa dipenderà dall’amministrazione Trump che sta provando a cambiare il comportamento dell’Iran con la minaccia della forza”, ha detto Therme. Ma Raisi ha attaccato l’operato “debole” del governo Rohani che si sarebbe “fidato troppo” degli occidentali: “Non dobbiamo mostrare alcuna debolezza di fronte al nemico”, come ha detto in un dibattito televisivo,una posizione che rischia di alimentare un’escalation delle tensioni con Washington.
COMMERCIO ESTERO Il governo afferma che ha bisogno di 50 miliardi di dollari all’anno di capitali stranieri per rimettere in moto l’economia nazionale. Ed a questo fine mira ad attrarre gli investitori e le banche internazionali che tuttavia rimangono fermi a causa della revoca solo parziale delle sanzioni e delle tensioni permanenti tra teheran e Washington. Nel frattempo, il leader supremo della Rivoluzione lancia appelli a un'”economia di resistenza” improntata all’autosufficienza, appelli puntualmente rilanciati da Raisi. Tuttavia, in un Paese fortemente dipendente dall’esportazione petrolifere parlare di totale indipendenza dall’estero appare poco realistico. “Nessuno sta prendendo l’idea di ‘economia di resistenza’ agli estremi stile Venezuela: Tutti vedono un certo spazio per il commercio”, come ha detto Salehi-Isfahani.