Il discorso, per buona parte, è ‘motivazionale’, come è giusto aspettarsi nel ‘primo giorno di scuola’. Gli effetti delle turbolenze dei giorni scorsi, però, lasciano il segno in qualche inciso. Giorgia Meloni riunisce il suo primo Consiglio dei ministri dopo un passaggio di consegne con Mario Draghi che sin dall’accoglienza lascia trasparire tanto l’emozione quanto la confidenza. Quasi un’ora e mezza di colloquio dopo aver ricevuto quegli onori militari che definisce “emotivamente impattanti”, una durata non convenzionale che racconta anche dei tanti dossier che passano di mano: dalla guerra in Ucraina, alla questione bollette fino all’attuazione del Pnrr. Poi, il primo Consiglio dei ministri che serve a formalizzare la nomina di Alfredo Mantovano come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, l’assegnazione della carica di vicepremier a Antonio Tajani e Matteo Salvini, la distribuzione delle competenze ai ministri senza portafoglio. Ma anche a nominare il ministro uscente della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, consigliere per l’energia (a titolo gratuito) di palazzo Chigi.
Il primo Cdm operativo potrebbe tenersi già la settimana prossima, ma in questa riunione che dura poco più di mezz’ora c’è tempo ancora per qualche festeggiamento. Giorgia Meloni però mette in chiaro che da domani tocca mettersi a lavorare perché ora c’è l’onore ma anche la responsabilità di “affrontare le emergenze del Paese”. Anche perché, sottolinea, questo governo “non nasce con il favore della stampa” anzi, c’è “diffidenza se non ostilità”. La premier, tuttavia, si dice sicura che con l’impegno di tutti questo esecutivo “sarà una bella sorpresa”. “Le persone – avrebbe detto – si aspettano che ripaghiamo la fiducia che hanno riposto in noi”. Ma c’è un concetto sul quale Meloni insiste più di tutti: l’importanza dell’unità. “Per essere all’altezza del compito – avrebbe detto – bisogna essere una squadra, evitando i personalismi o di alimentare conflitti”. Parole a cui sarebbero seguite quelle dei suoi due vice premier. Matteo Salvini, in particolare, avrebbe esortato d’ora in poi ad agire “dimenticando che proveniamo da partiti diversi”. Insomma, la fiera dei buoni sentimenti e delle buone intenzioni.
La presidente del Consiglio, però, sa bene che certe recriminazioni che sono diventate persino pubbliche durante la composizione della squadra di governo, si faranno sentire ancora nei prossimi giorni quando bisognerà completare il quadro dei sottosegretari e dei vice ministri. In particolare Forza Italia e Silvio Berlusconi ritengono di aver ottenuto meno di quanto le percentuali elettorali gli avrebbero dovuto garantire. E poi ci sono stati i due no di Meloni alla richiesta di un ministero per Licia Ronzulli e della Giustizia per Casellati. Adesso il leader azzurro vuole che l’Editoria vada al suo fedelissimo Alberto Barachini, che come sottosegretario agli Esteri ci sia Valentino Valentini, rimasto fuori dal Parlamento, che a viale Arenula venga premiato Francesco Paolo Sisto e all’Istruzione Valentina Aprea. Una partita sulla quale avrà certamente un peso la guerra interna al partito, diviso tra i filomeloniani vicini ad Antonio Tajani e quelli di fede ronzulliana, che con la presidente del Consiglio ritengono di avere ancora qualche conto in sospeso.