Prodi già nel mirino della Fallaci, l’ombra lunga di un paternalismo fuori tempo

Oriana Fallaci e Romano Prodi
Ci sono momenti in cui la politica si fa specchio della società. E ci sono momenti in cui diventa caricatura di se stessa. L’episodio che ha visto protagonista Romano Prodi e la giornalista Lavinia Orefici è uno di quei casi in cui il confine tra i due fenomeni si assottiglia fino quasi a scomparire. Ciò che resta, però, è un’amara riflessione su un modo di fare politica – e di concepire il rapporto tra potere e cittadini – che sembra non voler cambiare mai del tutto.
Quando Prodi ha afferrato i capelli di Orefici (e ormai le immagini lasciano pochi dubbi sul gesto), non ha semplicemente perso le staffe. Ha dato vita a un simbolo: quello di un uomo che, messo alle strette da una domanda legittima, ha reagito con l’arroganza di chi si sente al di sopra delle regole. Non è stato solo un errore di comunicazione; è stata una dimostrazione plastica di come certi vizi del potere resistano nonostante gli anni, le critiche e i cambiamenti del contesto.
Il paternalismo di Prodi è noto, quasi una firma del suo stile. Quel tono mellifluo e didattico, quel modo di trattare gli interlocutori come bambini da redarguire piuttosto che come adulti con cui confrontarsi, è sempre stato parte integrante del suo carisma. Ma oggi, in un mondo in cui la par condicio tra chi governa e chi viene governato è diventata un valore irrinunciabile, quel tratto appare anacronistico, persino irritante. Una forma di presunzione che non fa altro che allontanare ulteriormente i cittadini dalla politica.
E poi c’è il silenzio del centrosinistra, che forse è la parte più inquietante di questa vicenda. Enrico Letta che esprime “solidarietà” a Prodi, Massimo Giannini che applaude definendo l’episodio una “lezione ai giornalisti sicari di regime”: è difficile non vedere in queste reazioni una sorta di complicità ideologica, un rifugio nelle trincee della difesa d’ufficio anziché un’onesta ammissione dei fatti. Quando una classe dirigente smette di distinguere tra giusto e sbagliato per motivi di schieramento, tradisce la sua stessa missione.
Ma il caso Prodi-Orefici non è solo una questione di atteggiamenti o di appartenenze politiche. È anche un monito su come certe figure storiche, per quanto importanti nel loro tempo, possano diventare ingombranti proprio perché incapaci di rinnovarsi. Pensiamo alla lettera di Oriana Fallaci, quella in cui lo descriveva come un personaggio tragicomico, un “Pulcinella” della politica italiana. Allora, nel 2004, quelle parole della grande giornalista furono accolte con sdegno da chi difendeva Prodi. Oggi, invece, risuonano come una profezia avverata.
Cosa ci dice, dunque, questa vicenda? Che il rispetto reciproco non è mai negoziabile, nemmeno quando si è seduti su un piedistallo costruito da decenni di carriera. Che il mutismo di fronte a un errore è una forma di arroganza peggiore dell’errore stesso. E che, quando si sceglie di scendere in campo con battute sarcastiche o giustificazioni insufficienti, si finisce per alimentare il discredito di un’intera categoria politica.
Romano Prodi avrebbe potuto trasformare questo episodio in un’occasione per dimostrare umiltà, per riconoscere un gesto sbagliato e chiedere scusa. Invece, ha preferito nascondersi dietro un muro di silenzio e autocompiacimento. Un peccato, perché anche i grandi uomini hanno bisogno di mostrarsi fragili, ogni tanto. Altrimenti, rischiano di diventare solo statue di sale.