Propaganda Isis sui social, polizia setaccia profili. Inchiesta a Torino contro il cyberterrorismo
Per seminare la pianta della jihad agiscono sul campo dei social network. Facebook, Twitter, Istagram, gruppi di discussione e bacheche virtuali diventano il terreno su cui spargono slogan, foto, video, frammenti di dottrina. Quasi mai usano il loro vero nome: la rete permette di lavorare con identità fittizie. Anche più di una. Anis Amri, l’autore della strage di Berlino, ne utilizzava una mezza dozzina. La polizia postale, a Torino, nelle scorse settimane è riuscita a trovare tracce chiarissime di queste attività: numerosi profili che manifestavano apertamente sostegno all’Isis e incitavano alla guerra santa. E’ stata inoltrata una segnalazione alla procura, che ha aperto un fascicolo, ed è stata attivata la Digos.
MEDIATORE ARABO Bisogna capire chi si nasconde dietro le firme dei messaggi, dove abita, quali sono i suoi agganci sul territorio. Per contrastare il cyberterrorismo gli specialisti della polizia postale scandagliano internet di continuo e collaborano con altri organi di polizia e di intelligence non solo in Italia. L’aiuto di un “mediatore di lingua araba”, come è stato definito, ha permesso all’esplorazione delle piattaforme social di decollare verso gli ultimi risultati. I profili che passano nel setaccio degli operatori sono parecchi. Un decreto del 2015 ha previsto la creazione di una vera e propria ‘black list’, da aggiornare costantemente, dei siti in cui compaiono post e video destinati al proselitismo. Per l’istigazione e l’apologia di reati con finalità terroristiche, se portate avanti attraverso dispositivi telematici o informatici, le nuove norme prevedono aggravamenti di pena. Il pubblico ministero, se è il caso, può anche ordinare ai fornitori di servizi di hosting la rimozione dei contenuti.
LE INDAGINI Ma soprattutto l’apertura formale del procedimento giudiziario offre agli investigatori gli strumenti necessari per approfondire le indagini. A Torino magistratura e forze dell’ordine si sono già occupati di analoghe forme di propaganda. Nel dicembre del 2015 un ventenne di origini marocchine, residente a Lanzo Torinese, patteggiò due anni di carcere per avere diffuso sul web un documento di sostegno allo Stato islamico dell’Isis. Il pm Antonio Rinaudo procedeva per apologia di reato aggravata dalla finalità terroristica. Il documento, apparso nel dicembre 2014, parlava delle strutture dello Stato e dei servizi che offriva ai cittadini; nel finale conteneva un appello ad accorrere in sua difesa.