Quando il giovane Mussolini denunciava il massacro degli armeni

Benito Mussolini precursore di Papa Francesco? L’accostamento è certamente azzardato, ma forse non tutti sanno che Mussolini è stato uno dei maggiori giornalisti del suo tempo e che il suo articolo d’esordio, apparso il 2 agosto 1902 sull'”Avvenire del Lavoratore”, organo del Partito socialista italiano in Svizzera, fu un’accorata denuncia dei massacri degli armeni in corso già da qualche anno nell’Impero Ottomano. Massacri che anticiparono il genocidio del 1915 che Papa Bergoglio qualche giorno fa ha ricordato scatenando la furiosa reazione del governo di Ankara. Il giovane socialista Mussolini (aveva allora 19 anni), andato in Svizzera in cerca di fortuna dopo aver conseguito il diploma di maestro elementare, era indignato per i massacri a cui erano sottoposti già a quel tempo gli armeni nell’indifferenza generale. In realtà i primi massacri avvenuti nell’Impero Ottomano tra il 1894 e il 1896, sotto il sultano Abdul Hamid “il Sanguinario”, avevano inizialmente suscitato clamore in Europa e in Nord America. L’interesse tuttavia era svanito rapidamente e i nuovi massacri compiuti all’inizio del nuovo secolo, a cui parteciparono anche i curdi, non richiamarono la stessa attenzione, anche se nel 1900 la Seconda internazionale aveva invitato i parlamentari socialisti di tutti i Paesi a intervenire in favore del popolo armeno oppresso, ogni qualvolta si fosse reso necessario.

 Così, nell’agosto 1902, il giovane Mussolini nel suo articolo intitolato “Una caduta” espresse sdegno per quanto stava avvenendo in Anatolia: “Vi è un popolo che cade” scriveva il futuro capo del fascismo. “Un intero popolo, generoso ed obliato, che ogni giorno lascia a brandelli la sua carne, la sua libertà, le sue tradizioni per una insanguinata strada di rovine. Il telegrafo quotidianamente annunzia i massacri consumati dai Kurdi sugli Armeni; nessuno sfugge al macello: ogni giorno un capokurdo, dopo aver incendiato un villaggio, ordinò si legassero tutte le donne, commise su di esse atti di ferocia inaudita e le fece morire fra orribili torture”. “Ebbene – denunciava Mussolini -: questi particolari che all’alba del XX secolo dovrebbero sollevare in tutte le anime sensi di raccapriccio, passano inosservati completamente o quasi, come episodi di secondaria importanza, nella farraginosa cronaca d’ogni dì. Pochi solitari alzano la voce per protestare in nome in nome del diritto delle genti”. Il giovane socialista deprecava in particolare la comunità internazionale e il mondo giornalistico che sembravano ignorare le sofferenze degli armeni mentre fremevano per un’altra “caduta”, quella del campanile di Venezia del 14 luglio 1902: “Per la torre che crolla impotente a sostenere il peso dei secoli – scriveva -, fin la diplomazia e gli alti consessi più o meno burocratici o finanziari si muovono: un coro di proteste e di voti s’innalzano nel nome dell’arte, delle memorie, della patria, fin dell’umanità; per il popolo – ancora bambino – che cade schiacciato dal moloch della barbarie ciecamente fanatica, nessuno s’agita. L’Europa che freme davanti ad una perdita dopo tutto anche artisticamente discutibile, non trova per questa causa uno slancio di generosità; non ha proteste contro chi potrebbe, volendo, impedire che una regione diventi un cimitero”.

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