Referendum, cresce fronte anti elezioni in caso di vittoria del “no”
RISCHIO IMPASSE ISTITUZIONALE Alla Camera i parlamentari di vari schieramenti iniziano a prepararsi per allungare la legislatura almeno fino alla fine del 2017 di Enzo Marino
di Enzo Marino
I sondaggi sul referendum costituzionale di ottobre danno, al momento, in vantaggio il fronte del “no” e la politica comincia a chiedersi (e a prepararsi) a una eventuale caduta del governo. Il premier Matteo Renzi è convinto di riuscire a ribaltare l’attuale pronostico, come ha ribadito nella sua e-news, che “senza questa riforma, torneremmo all’ingovernabilità. Agli inciuci del giorno dopo”. Ma se fino a qualche giorno fa ripeteva che “se perdo vado a casa”, oggi sembra aver cambiato strategia ed evita di mettere sul piatto le sue dimissioni. Anche perché nello stesso Pd cresce il fronte di coloro che chiedono al premier di mettere da parte la personalizzazione del voto sul referendum, accantonando l’ipotesi di rimettere il mandato in caso di vittoria del no. E comunque sono in tanti a ritenere difficile che, anche in caso di dimissioni di Renzi, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella potrebbe mandare dritti a votare già in autunno, per un motivo tecnico. L’Italicum è valido solo per l’elezione della Camera, essendo stato pensato per lo schema monocamerale. Ma se invece, con la vittoria del “no”, il Senato dovesse rimanere in vita, l’elezione della Camera alta avverrebbe con il cosiddetto “Consultellum”, la legge iperproporzionale nata dalle modifiche che le sentenze della Consulta hanno apportato al Porcellum.
“Si aprirebbero scenari di ingovernabilità – sostiene il politologo Roberto D’Alimonte -. Se vincesse il no al referendum non ci sarebbe più il governo Renzi e allo stesso tempo non sarebbe possibile tornare al voto. Si voterebbe con un sistema maggioritario per la Camera e uno proporzionale per il Senato; con due turni alla Camera e uno al Senato; con un sistema, quello della Camera, che garantisce la governabilità e uno, al Senato, che garantisce l’ingovernabilità. Anche il corpo elettorale sarebbe diverso”. In questo scenario, alla Camera i parlamentari di vari schieramenti iniziano a prepararsi per allungare la legislatura almeno fino alla fine del 2017. Ufficialmente la posizione diffusa è quella che espone, per il M5s, Alessandro Di Battista (foto): “Il dopo Renzi? E’ prematuro parlarne. Ora pensiamo a spiegare ai cittadini perché questa riforma è sbagliata”. Ma nei capannelli e negli incontri riservati, il tema è al centro dell’attenzione.
“Ormai da qualche giorno – rivela un parlamentare renziano – i colleghi hanno iniziato a parlare del ‘dopo’ Renzi. L’idea è quella di un governo istituzionale, presieduto magari dal presidente del Senato Grasso, per approvare la legge di Stabilità e, avviare, a gennaio-febbraio, la discussione della nuova legge elettorale. In questo modo non si andrebbe a votare prima dell’ottobre 2017. Questo salvo che – conclude amaro – non si trovi qualcuno del Pd con abbastanza pelo sullo stomaco da rifare un governo con Forza Italia. Purtroppo quelli non mancano”. In questo secondo caso, si potrebbe dar vita a un governo di scopo politico, di grande coalizione. E c’è già un nome che circola per guidarlo: quello di Dario Franceschini, attuale ministro per i Beni culturali. Quella di un governo istituzionale è, anche per D’Alimonte, l’ipotesi più probabile. “La legge elettorale su cui potrebbero accordarsi, però – sottolinea – sarebbe quasi sicuramente proporzionale, con una conseguenza: l’ingovernabilità. Con tre grandi blocchi che difficilmente potranno unirsi per dar vita a un governo la prospettiva è l’instabilità”.