Rinviato il referendum del 29 marzo sul taglio dei parlamentari. Una nuova data verrà decisa la settimana prossima, non è escluso che si vada all’accorpamento con le amministrative. “Il governo ha ritenuto opportuno rivedere la decisione circa la data del referendum che era stata fissata prima dell`emergenza sanitaria, allo scopo di assicurare a tutti i soggetti politici una campagna elettorale efficace e ai cittadini un`informazione adeguata – ha detto il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà -. Le procedure referendarie in Italia e all`estero dunque si sospendono e saranno rinnovate quando sarà fissata una nuova data per il referendum. La legge ci consente di fissare la nuova data entro il 23 marzo 2020, in una domenica compresa tra il 50° ed il 70° giorno successivo all`indizione”.
Il referendum costituzionale sulla riforma che stabilisce la riduzione di un terzo del numero dei parlamentari non prevede quorum: se la metà più uno dei votanti sceglierà di abrogare la riforma, il numero dei parlamentari non cambierà. Il rinvio della consultazione era richiesto a gran voce. “Votare il 29 marzo è un attentato ai diritti civili e politici dei cittadini, così come configurato dall’articolo 294 del codice penale”, sosteneva nei giorni scorsi il Partito Radicale. “Siamo di fronte a una violazione del diritto dei cittadini ad essere informati, anche a seguito della violazione dell’ordine impartito dall’AgCom alla RAI e da noi formalmente denunciato – proseguivano i radicali -; l’impossibilità di tenere manifestazioni pubbliche in buona parte del paese; non c’è comunque certezza che il 29 marzo ci saranno le condizioni per tutti i cittadini di votare; perché ci risulta che le procedure per garantire il voto degli italiani all’estero sono molto in ritardo. Ribadiamo la richiesta – concludono i radicali – di tenere il referendum il 29 maggio allungando ed aumentando i tempi della campagna di informazione e confronto”.
Tra chi vede favorevolmente un rinvio ci sono anche i promotori del referendum stesso, il gruppo di senatori provenienti da vari partiti che, nelle scorse settimane, aveva raccolto le firme necessarie a chiedere che la riforma costituzionale che contiene il taglio dei parlamentari venisse sottoposta al voto degli italiani. “Pensiamo che spetti al governo prendere una decisione, perché è il governo che conosce le condizioni di salute pubblica”, ha spiegato a Repubblica uno dei leader del comitato, il senatore del Pd Tommaso Nannicini, che aveva chiesto al governo di aprire un “tavolo” con il comitato promotore per verificare insieme se ci sono le condizioni per rinviare la consultazione. E così è andata.
Sulla stessa scia, la senatrice Tatjana Rojc (Pd), secondo la quale, “rinviare il referendum è doveroso a salvaguardia della democrazia, e così pure si deve evitare una sovrapposizione con le regionali”. “Finora – spiega la senatrice che fa parte anche del comitato promotore nazionale e referente per il Friuli Venezia Giulia dei ‘Democratici per il No’- non ci sono state né ci sono tuttora le minime condizioni per garantire un’informazione adeguata della popolazione e un confronto tra le diverse posizioni. Lo stesso servizio pubblico radiotelevisivo dovrebbe risarcire ampi spazi di mancata informazione”.
Matteo Salvini è intanto in piena campagna referendaria. “Inviteremo a votare sì” al referendum sul taglio dei parlamentari afferma il leader della Lega. “Dopo aver votato sì 4 volte in aula, voteremo per la quinta volta per il taglio dei parlamentari e se anche il popolo la ratifica, il Parlamento dal giorno dopo sarà delegittimato dalla volontà popolare. Ci saranno 300 persone in più rispetto al previsto, ognuno trarrà le sue conclusioni”. Il taglio del numero dei parlamentari, approvato definitivamente dal Parlamento lo scorso ottobre, ricordiamo, prevede di ridurre i seggi alla Camera da 630 a 400 e quelli al Senato da 315 a 200: una riduzione di circa un terzo. La riforma inoltre stabilisce un tetto massimo al numero dei senatori a vita nominati dai presidenti della Repubblica: mai più di 5. Tutti i principali partiti sono a favore o neutrali nei confronti della riforma (con l’eccezione di piccoli partiti come Più Europa).