Referendum trivelle, perché Sì e perché No. Ecco come e quando si vota

ALLE URNE Lo scrutinio dei voti inizierà nella stessa giornata di domani, subito dopo la chiusura delle votazioni ed appena ultimate le operazioni preliminari allo scrutinio stesso di Enzo Marino

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di Enzo Marino

Sono quasi 47 miloni gli elettori aventi diritto che domani 17 aprile sono chiamati a pronunciarsi sul referendum abrogativo relativo alle trivelle in mare. I seggi saranno aperti dalle ore 7 alle ore 23. Il corpo elettorale, ripartito negli 8.000 Comuni e nelle 61.562 sezioni elettorali del territorio nazionale, è pari – in base ai dati resi noti dal ministero dell’Interno – a 46.732.590 elettori, di cui 22.465.001 maschi e 24.267.589 femmine. A questi elettori vanno aggiunti i 3.898.778 elettori residenti all’estero, di cui 2.029.303 maschi e 1.869.475 femmine, per i quali la modalità ordinaria di espressione del voto è quella per corrispondenza. Tali dati si riferiscono al 15° giorno antecedente alle consultazioni. Gli elettori, per poter esercitare il diritto di voto, presso l’ufficio elettorale di sezione nelle cui liste risultano iscritti, dovranno esibire, oltre ad un documento di identità, la tessera elettorale personale a carattere permanente. Qualora non si rinvenga la propria tessera elettorale o si rilevi che gli spazi per l’apposizione del timbro sono esauriti, si potrà chiedere una nuova tessera agli uffici comunali che, a tal fine, assicureranno l’apertura al pubblico nelle giornate di venerdì 15 e sabato 16 aprile, dalle ore 9.00 alle ore 18.00, mentre domenica, giorno della votazione, per tutta la durata delle operazioni di voto (dalle ore 7.00 alle ore 23.00). Lo scrutinio dei voti inizierà nella stessa giornata di domani, subito dopo la chiusura delle votazioni ed appena ultimate le operazioni preliminari allo scrutinio stesso. I risultati degli scrutini saranno pubblicati sul sito internet del Ministero dell’Interno www.interno.gov.it

Se a spingere per il Sì sono perlopiù le associazioni ambientaliste, col Wwf in testa, oltre ovviamente alle Regioni promotrici, a dare voce al “No” (o al “diritto di non votare”) sono soprattutto le compagnie petrolifere, Eni in primis, e il Gruppo Ottimisti e Razionali, che annovera tra le sue fila noti esperti di energia e ambiente, tecnici ma anche filosofi, giornalisti e consiglieri regionali. Ecco, in sintesi, le ragioni degli opposti schieramenti.

IL “FRONTE DEL SI'” –  Il quesito è troppo tecnico – È il Governo che ha introdotto una norma nella Legge di Stabilità 2016, approvata dal Parlamento, che chiede di non tenere conto del termine delle concessioni offshore entro la fascia delle 12 miglia vietata alle trivellazioni. Ed è la Corte Costituzionale che ha deciso di sottoporre la norma a referendum popolare, perché ha ritenuto che la norma contenga una proroga indefinita e ingiustificata.

– Il voto è irrilevante – Non è indifferente che si decida di prorogare di fatto, in contrasto con le norme comunitarie, le concessioni a 88 piattaforme che per il 48% ha più di 40 anni di età e che per il 35% viene classificato “non erogante”; si rischia così di avallare l`interesse delle aziende (in primis ENI) a non smantellare le piattaforme e procedere al ripristino ambientale dei luoghi.

– Tutto bene per l`ambiente – Il WWF ha dimostrato che ben il 47,7% delle piattaforme per l`estrazione di gas e petrolio (42 su 88) entro la fascia delle 12 miglia, sono state costruite prima del 1986 (data di entrate in vigore in Italia della VIA) e quindi mai sottoposte a Valutazione di Impatto Ambientale, 40 delle quali sono in Adriatico (26 davanti alla costa romagnola).

– Non c`è alcun rischio di incidente – Dal 1955 ad oggi (secondo i dati SINTEF – Offhsore Blowout Database) ci sono stati 573 sversamenti di petrolio in tutto il mondo (blowout). Un incidente grave come quello della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon del 2010 ha provocato il più grave inquinamento mai prodotto nei mari USA e un danno (anche all`ambiente) stimato in 20 miliardi di dollari.

– Le attività di estrazione offshore non inquinano – Nella fase di ricerca geosismica l`air-gun genera “esplosioni” che possono provocare danni permanenti ai cetacei o la loro morte (fonte: ISPRA, istituto di ricerca del Ministero dell`Ambiente).
Nella fase di estrazione possono generarsi fenomeni di subsidenza (con abbassamento dei fondali e erosione delle spiagge) e vengono usate sostanze pericolose o tossiche contenute nelle “acque di produzione” e nei “fanghi perforanti”.

– Lo Stato ci guadagna – Come dimostrato dal WWF solo 18 (21%) delle 69 concessioni off-shore pagano le royalty del 7% sul valore del petrolio e del 10% sul valore del gas estratto in mare. Su 53 aziende estrattive solo 8, grazie ad un sistema di esenzioni, sono quelle che pagano le royalty allo Stato e alle Regioni. L`IRES, la tassa sul reddito delle aziende, è al 27,5%, come per ogni altra impresa. E numerosi sono gli incentivi e le agevolazioni. – Aumenta l`occupazione – Assorinovabili (l`associazione delle aziende delle energie rinnovabili) ha calcolato che solo il decreto “Spalma Incentivi” ha fatto perdere almeno 10mila posti di lavoro. In Basilicata, che produce il 70% del petrolio italiano e il 20% del gas, sono solo 1600 le persone occupate nel settore dell`estrazione degli idrocarburi e 2400 nell`indotto. Le attività estrattive mettono a rischio47mila aziende turistiche costiere e 60mila posti di lavoro nella pesca.

– La biodiversità prospera – Le sostanze inquinanti prodotte a regime, e a maggior ragione in caso di incidente, sono pericolose o tossiche (le “acque di produzione” provenienti da installazioni a gas sono 10 volte più tossiche di quelle petrolifere). Gli idrocarburi policiclici aromatici contenuti nel greggio hanno effetti anche cancerogeni e mutageni. L`inquinamento chimico di routine e l`onda nera hanno effetti mortali a lungo termine o immediati su pesci, cetacei e uccelli marini.

– Le scelte istituzionali sono meditate – È dal 1988 che in Italia non viene fatto un Piano Energetico Nazionale. La Strategia Energetica Nazionale pro-fossili del 2013 è nata morta e non ha mai avuto alcuna credibilità. Nella Legge di Stabilità 2016 è stato cancellato il Piano delle aree per lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi che doveva essere sottoposto a Valutazione Ambientale Strategica (VAS).

– Le fonti fossili sono fondamentali – Secondo stime del Ministero dello Sviluppo Economico le riserve di petrolio individuate in mare coprirebbero il fabbisogno energetico nazionale per sole 7 settimane e le piattaforme offshore nella fascia offlimits delle 12 miglia producono solo l`1.9% del fabbisogno nazionale di gas. Mentre il WWF ha dimostrato che per contenere la febbre del Pianeta anche in Italia entro il 2050 l`obiettivo 100% rinnovabili è conseguibile.

IL “FRONTE DEL NO” – In sei punti, le motivazioni dei contrari al quesito referendario sulle trivelle.

– Piccole quote petrolio e gas da mare – Gas e petrolio sono prodotti, tra terra e mare, nel nostro Paese rispettivamente per l’11,8% e il 10,3% del fabbisogno nazionale, e tali quote comprendono anche le piattaforme che non sono oggetto di referendum e quindi non rischiano di chiudere. Un terzo del petrolio estratto dal mare arriva infatti da piattaforme oltre le 12 miglia, mentre nel complesso ben l’85% viene dai pozzi a terra.

– Scarso impatto petrolio e gas su mare – A livello ambientale, l’estrazione di gas è definita sicura dai sostenitori del No.
L’Istituto superiore di Sanità, l’Ispra, l’Istituto Nazionale di geofisica, quello di geologia e l’Istituto di oceanografia “garantiscono controlli costanti”, e inoltre c’è il controllo delle Capitanerie di porto, delle Usl o Asl e dei diversi ministeri competenti. Sulle piattaforme italiane, mai rilevato alcun incidente o pericolo rilevante, né possono essere considerate dannose per l’habitat marino: anzi, le piattaforme sono aree di ripopolamento ittico.

– Stop a trivelle uguale danno a risorsa – Le casse statali possono contare, allo stato attuale “pre-referendum”, su cospicue entrate annuali dall’industria del petrolio e del gas: circa 800 milioni di tasse e 400 di royalties e concessioni. E le attività di estrazione sono anche una buona fonte di lavoro, dando occupazione a oltre 10.000 persone.

– Nessun danno a turismo – Non è vero, afferma il “fronte del No”, che turismo e comparti collegati possano essere danneggiati dalle attività estrattive: la metà del gas italiano arriva da piattaforme posizionate nell’alto Adriatico, dove insistono numerose località dalla forte vocazione turistica, sia per le spiagge e sia dal punto di vista artistico, e nessuna di queste ha mai avuto problemi di “compatibilità” con le piattaforme stesse.

– Trivelle compatibili con difesa clima – Le cosiddette rinnovabili sono senz’altro il futuro dell’approvvigionamento energetico, ma – dicono quelli del No al referendum – hanno tutt’ora un’affidabilità piuttosto limitata (sole, vento e acqua sono difficilmente “gestibili”, o comunque lo sono parzialmente)e perciò è necessario integrarle con i combustibili fossili per poter continuare nei nostri consumi abituali.

– Referendum inutile e costoso – I sostenitori del No dicono agli italiani anche di non andare a votare, per “non tirare la volata a chi vuole soltanto distruggere”. Per loro, questo referendum “è uno spreco di 400 milioni” che “non ha senso e non si doveva fare”.