di Gaetano Mineo
Non servirà mai la sua testa in un vassoio d’argento al Partito Democratico. ”Se me ne devo andare, lo farò per motivi politici e non per le false intercettazioni”. Non arretra di un centimetro il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta. La parola dimissioni non sfiora minimamente i suoi pensieri, nonostante il pressing che arriva in queste ultime ore dai vertici del suo partito, il Pd, che da tempo lo vuole sfrattare da Palazzo d’Orléans, e che ora sembra essere arrivato all’ultimo miglio. ”Prima faccio le riforme, poi do la mia disponibilità all’Assemblea siciliana per decidere se porre fine alla legislatura”. Tradotto dal politichese, dovrà essere il Pd a sfiduciarmi in parlamento e a mandarmi a casa. Questa, in sintesi, è la linea crocettiana. D’altronde è sempre più evidente che la partita per la poltrona a governatore della Sicilia è tutta all’interno dei Dem, unici veri azionisti di maggioranza in questi tre anni di governo Crocetta. Orfini, Serracchiani, Guerini, tutto il gota contro Crocetta. Assordante silenzio, invece, è arrivato finora da Matteo Renzi che, tuttavia, dovrebbe incontrare domani il segretario del Pd siciliano, Fausto Raciti per uscire dall’impasse.
A questo punto, la bufera su Crocetta sembrerebbe mascherare tre anni di disastri del governo isolano. Musica per le orecchie del Pd che già pensa a rimpiazzare con un suo candidato l’ex sindaco di Gela. Tanti i nomi. Tra i più accreditati, c’è quello del capo dei renziani, Davide Faraone, che in queste ultime ventiquattro’ore sembra scomparso dalla scena del crimine. L’operazione “Faraone” – dicono i bene informati – è già stata avviata da tempo con la stretta regia romana. Una regia a firma Pd-Udc-Ncd che, in Sicilia, potrebbe sparigliare le carte sia al centrodestra sia ai grillini. A capo dell’operazione, ci sarebbero il silente Renzi, l’oramai compagno di governo, Angelino Alfano, e Giampiero D’Alia. L’avanguardia è in mano al Pd, e non certo quello siciliano che avrebbe tutte le intenzioni tranne quella di andare alle urne, ma quello che conta, quello romano, come già detto. Basta ascoltare il deputato regionale Dem, ex segretario del partito, Giuseppe Lupo: “Non bisogna precipitarsi, occorre fare un passo per volta. E’ necessario valutare con calma e procedere all’approvazione delle leggi piu’ urgenti per la Sicilia. In merito si esprimera’ l’assemblea del Pd che si riunira’ per prendere una posizione entro il 31 luglio”. Crocetta, intanto, ha assunto una posizione attendista. D’altronde non spetta più a lui fare la prima mossa. L’ha già fatta: “Fatte alcune cose importanti per la Sicilia, possiamo valutare con Parlamento e maggioranza, dentro il centrosinistra, un percorso per una chiusura anticipata della legislatura”.
Già le leggi, le riforme da approvare, ed è proprio qui che casca l’asino. Perché senza la nuova legge delle Province, congelata al parlamento siciliano da oltre un anno; senza la riforma dell’acqua; senza l’approvazione della finanziaria 2015 dove mancano ancora 300 milioni per far quadrare i conti, soldi che dovrebbe sborsare il governo Renzi; ma soprattutto senza la riforma elettorale, non si può andare da nessuna parte. Urne comprese. Se a ciò si aggiunge che devono passare almeno tre mesi, dalle dimissioni del governatore per andare a votare, se tutto va bene, non prima di primavera si potrà andare al voto per il nuovo governatore. Come dire, finora solo chiacchiere. Tuttavia, le grandi manovre in Sicilia sono già iniziate. Per il momento c’è un unico potenziale candidato per il centrodestra che è Nello Musumeci. E che, stando a quanto detto, non dovrebbe avere il sostegno del Ncd. L’altro schieramento, il centrosinistra, e ne abbiamo già palato, è già a lavoro. A parte i grillini pronti a prendersi la scena.