Renzi alza la voce in Europa, chi segue Bruxelles perde elezioni

Renzi alza la voce in Europa, chi segue Bruxelles perde elezioni
23 gennaio 2016

di Maurizio Balistreri

Basta austerity perchè la demagogia e il populismo si battono tornando alla crescita e anche perchè chi ha sostenuto quella linea è stato poi sconfitto alle elezioni. Matteo Renzi gioca su due piani la battaglia contro il rigore eccessivo: quello del merito e quello del consenso, perchè “tutti i Paesi che hanno condiviso la linea politica in modo completamente aderente alle richieste di Bruxelles hanno visto sconfitto il governo uscente: Danimarca, Polonia, Grecia, Portogallo ma nei fatti anche Spagna”. Ma attenzione: “Se io in tv faccio sintesi un po’ brutali” sulla necessità di “cambiare verso” in Europa, “non lo faccio perché cerco di posizionare il Pd sul crinale di un populismo decente, è l’opposto”. La tesi di Renzi è che cresce “la domanda di più crescita, lavoro, Europa sociale”, e sono temi che non possono essere lasciati al Front National: “Lo strumento con cui si risponde al populismo è la lotta alla disoccupazione” perché “chi abbraccia derive populiste e demagogiche lo fa per la mancanza di prospettive di sviluppo e di crescita”. E se l’obiettivo deve essere questo, non si può lasciare che la discussione resti “sullo zero virgola o su qualche leader permaloso che si offende per mezza parola detta o non detta…”. Per Renzi infatti c’è in ballo “l’ideale europeo”, che si “sta spappolando” nelle discussioni “sul comma 2 dell’articolo 4 al paragrafo 7…”. E’ invece “il tempo della politica: l’Ue o recupera la sua dimensione ideale o rischia di cadere sotto i colpi dell’approccio burocratico”.

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Un avvertimento che Renzi rivolge ancora una volta a Juncker e ai sostenitori del rigore: “Vorrei una Ue che discute di Europa più sociale non di austerity”, una Ue “in cui la parola crescita è vocabolario comune e non la richiesta di un Paese”. Se ci si riuscirà “la legislatura europea avrà un significato profondo, altrimenti avremo perso quella carica di innovazione su cui avevamo scommesso votando Juncker”. Per rilanciare i temi dell’accordo che portò all’elezione di Juncker, “un piano per gli investimenti da un lato, dall’altro lato la flessibilità al posto di austerity e rigore”, il premier chiama alle armi “gli eurodepuati italiani” e invita i ministri del suo governo ad essere “più incisivi”. Quel nuovo corso rappresentato dalla nomina di Calenda ad ambasciatore presso la Ue. Perchè “guai a fare le belle statuine nel dibattito europeo: gli altri non fanno le belle statuine”. L’obiettivo è “recuperare accanto al sacrosanto interesse nazionale, la dimensione dell’ideale europeo”.

E l’interesse nazionale oggi si chiama flessibilità. Che, ha ricordato Renzi incontrando gli eurodeputati prima della Direzione Pd, fa ormai parte delle regole europee, non è un criterio che può essere applicato “a discrezione” di qualcuno. Leggi Berlino, cui Renzi ribadisce: “Non siamo i Pierini d’Europa, vogliamo regole uguali per tutti”. Una posizione che Gianni Pittella, capogruppo dei socialisti a Strasburgo, ha assicurato essere quela di tutto il gruppo, perché il voto a favore di Jean Claude Juncker venne dato proprio sulla base di un programma che assicurava crescita e flessibilità. E interesse nazionale è anche la questione Ilva, sulla quale la Ue indaga per aiuti di Stato. La risposta è secca: “Faremo tutto ciò che è necessario per salvarla, sia chiaro alle lobby dell’acciaio degli altri Paesi. Possono fare tutti i ricorsi che vogliono, ma noi la salviamo”.

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