Il Matteo Renzi dei giorni scorsi, interventista e pronto a smarcare anche sorprendendo il suo stesso partito, è stato solo un assaggio di quello che vedremo nei prossimi mesi. All’assembla che lo incorona, di nuovo, segretario del Pd, l’ex premier sfodera un discorso d’attacco, ascoltato con attenzione anche dal presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, seduto in prima fila. Un intervento in cui ripete, con fermezza e rivolgendosi direttamente al presidente della Repubblica, che il Pd non intende “fare da capro espiatorio sulla legge elettorale”. Il segretario Pd, poi, assicura “sostegno” al governo, ma aggiunge che con l’esecutivo ci sarà un “confronto settimanale”. Quindi, difende la linea dura sulla legittima difesa e torna a chiedere il taglio delle tasse. Insomma, un Pd che si farà sentire e che non si limiterà a sostenere in silenzio il governo. In molti sono rimasti sorpresi soprattutto dal passaggio rivolto a Sergio Mattarella. Renzi ha citato direttamente il capo dello Stato con il tono di chi voleva chiarire un paio di cose: “Diciamo anche una parola di verità sulla legge elettorale. La diciamo rivolgendoci con deferenza e rispetto verso al signor presidente della Repubblica, il presidente Mattarella cui va la nostra stima, la nostra riconoscenza, la nostra filiale amicizia e devozione. La legge elettorale è un capitolo fondamentale per la tenuta democratica del paese, ma il Pd non farà il capro espiatorio”. Fare la proposta tocca alle opposizioni, a chi ha eletto un presidente di commissione al Senato “con i franchi tiratori” bocciando il candidato del Pd: “Signor presidente della Repubblica: la responsabilità di questo stallo è di chi oggi ha la maggioranza al Senato”.
Parole che non piacciono ad Andrea Orlando (“Non sono pienamente persuaso di una prospettiva che ci indica Matteo”), come del resto quelle sulle alleanze. Renzi non fa sconti agli ex Pd, polemizza con “quelli che oggi ci fanno tanti proclami sul valore dell’unità a sinistra e negli anni scorsi ha picconato l’Ulivo, uccidendo l’esperienza politica di Romando Prodi. Bisogna essere coerenti con quello che si dice, altrimenti non si va da nessuna parte”. Ma non è banale nemmeno il passaggio sul governo. Certo, “da cinque mesi diciamo con forza che nessuno del Pd ha messo o metterà in discussione il governo guidato da Gentiloni”. Ma la durata della legislatura “dipende dal governo stesso e dall’attività parlamentare”. Peraltro, “con il governo lavoreremo insieme. Dobbiamo darci un metodo di lavoro, settimanalmente, per lavorare insieme ed evitare problemi con i gruppi e la segreteria”. Un “confronto settimanale” per “evitare problemi”, perché il Pd, appunto, sostiene il governo ma intende dire la sua. Sulle tasse, per esempio: “C’è un problema fiscale, dire che dobbiamo abbassare le tasse non è scimmiottare la destra”. E sulla legittima difesa: “”Nessuno di noi vuole privatizzare la forza o aumentare la diffusione delle armi. Non abbiamo mai inseguito la destra, ma la questione sicurezza non è una parola che possiamo lasciare agli altri”.
Sul fronte interno, il segretario tende la mano a Andrea Orlando e Michele Emiliano (“Grazie di cuore”) anche se l’area di Orlando contesta la scelta di affidare la presidenza del partito a Matteo Orfini e non a un esponente della minoranza. Dice che il Pd non è un “partito personale, ma una comunità”, riconosce il contributo dato dai suoi sfidanti alle primarie, ma poi avverte: non si può “accettare di essere il luogo in cui tutti sparano contro quartier generale per un po di visibilità”. Orlando non ci sta, ricorda che “rimangono dei nodi”, chiede di “raccogliere il segnale di malessere del referendum”, polemizza con la linea di Renzi sulla legge elettorale e avverte: per passare “dall’io al noi non è sufficiente allargare il gruppo dirigente”. Il riferimento alla richiesta fatta dai renziani alle minoranze di partecipare alla segreteria. Richiesta che fa discutere l’area Orlando e verso la quale si mostra invece più aperto Emiliano. Il presidente della Puglia chiede a Renzi di “non fare il superuomo”, ma non chiude la porta: “Segretario, non chiederci di smettere di litigare tout court, senza una causale. Prova a prevenire le discussioni consentendo un dialogo con due mozioni di un partito che non entrano tecnicamente in maggioranza ma che hanno il dovere di sostenerti nella misura in cui sarai capace di costruire sui programmi una unità di azione. E sui programmi potrai contare sulla lealtà delle donne e degli uomini che mi hanno sostenuto e credo di tutto il partito”.