di Andrea Reale
Il silenzio del Pd sull’incontro tra Matteo Salvini e Silvio Berlusconi dice più di molte dichiarazioni. Né una nota, né un tweet arrivano dai parlamentari più vicini a Matteo Renzi a commentare quello che è senz’altro il fatto politico del giorno. Viene invece fatto sapere da palazzo Chigi che il premier ha incontrato Angelino Alfano. Il dubbio al Nazareno è infatti su dove porterà questo riavvicinamento tra Fi e Lega. Messa in conto l’alleanza per le Regionali, il Pd si trova però a fare i conti con una posizione di Berlusconi non prevista: quella “opposizione a 360 gradi”, quelle parole del weekend sulla “deriva autoritaria”, aprono interrogativi sull’atteggiamento che i parlamentari forzisti assumeranno sulle riforme. Fino a qualche giorno fa, chi nel Pd teneva le redini dell’Aula di Montecitorio faceva intendere che ci si aspettava – dopo qualche giorno agitato – che l’ex Cavaliere rientrasse nei ranghi del Patto, continuando a sostenere – in qualche modo – le riforme che finora ha votato. Ma l’incontro di Arcore fa crollare questa certezza. Tanto più che neanche dal consueto pranzo del lunedì tra Berlusconi, i familiari e Confalonieri arrivano segnali distensivi, con il leader forzista che conferma la linea dura.
LA TENUTA DI NCD La risposta di Renzi per ora è solo nell’incontro con Alfano: sull’azione di governo del 2015, dicono da Ncd, ma anche sul post-Mattarella. Con Renzi preoccupato per la tenuta di Ncd, a questo punto decisivo per il cammino delle riforme. Se infatti nel Pd non si sa fin dove arriverà l’accordo tra Berlusconi e Salvini, non si sa neanche quale sarà la tenuta dei centristi nelle prossime settimane: la Saltamartini che va con la Lega, Sacconi che si dimette da capogruppo, Lupi che spera in un riavvicinamento con Berlusconi anche in vista della corsa per il Comune di Milano. I numeri tornano ad essere una variabile difficile da controllare, soprattutto in Senato: l’operazione Scelta Civica non sposta da questo punto di vista, mentre il ‘soccorso Verdini’ è ancora tutto da verificare. La tenuta di Ncd, su cui Salvini ha messo il veto per future alleanze, diventa quindi indispensabile, soprattutto a palazzo Madama. Ma anche a Montecitorio, dove i numeri sono decisamente favorevoli al Pd, qualche problema si pone. Quasi esauriti i tempi per il dibattito, dal gruppo forzista guidato da Renato Brunetta si teme una valanga di sub-emendamenti che comunque – con la semplice operazione del voto – potrebbe allungare il tempo necessario per l’agognato via libera, mentre molti decreti aspettano la conversione prima della scadenza. Senza contare che la sinistra Pd insiste per chiedere modifiche alle riforme e dopo all’Italicum.
LA PROVA DEL NOVE Ufficialmente per ora dal Pd insistono nell’ostentare sicurezza: sui numeri, e sulla convinzione che per Berlusconi la strada di via Bellerio è impervia: “Al momento è lui che andrebbe a fare l’alleato di Salvini…”, dice Ettore Rosato. E quindi si insiste nel sottolineare l’incoerenza dell’ex Cav: “Il cambio di posizione di Forza Italia è incomprensibile”, dice il ministro Andrea Orlando, che chiede agli azzurri di “decidere se associarsi a un progetto di destra populista e lepenista o costruire una forza che si riconosce nel Ppe”. Insomma, come dice anche Walter Veltroni, “difficile chiamare deriva autoritaria riforme che si sono votate fino a 5 giorni fa…”. Già da oggi, con i voti sulle riforme che riprendono a Montecitorio, si vedrà se l’ottimismo sui numeri è fondato. In primavera, invece, si capirà se l’Italicum – pensato quando il centrodestra era frammentato in tre tronconi – resterà invariato anche alla luce di una possibile alleanza Lega-Fi. Per ora, dal Pd assicurano: “Non cambia più, in Senato non ci torna”.