La “vecchia” classe dirigente non riuscirà a riprendersi il Pd e se proprio qualcuno vuole andarsene per fare un qualcosa di “diverso a sinistra”, Matteo Renzi non ha paura. Ha preso la parola alle 12.30 in punto, il presidente del Consiglio, e chiudendo la quinta edizione della Leopolda in poco meno di un’ora ha regolato i conti con la minoranza del partito, evocando lui stesso l’eventualità di una scissione per dire che non è prospettiva che lo preoccupa. E soprattutto ha confermato la ‘sua’ idea del partito, aperto e a vocazione maggioritaria: in una frase, “il partito del 41% e non del 25%, il partito dei pionieri e non dei reduci”. Il primo attacco ha preso le mosse dalla risposta a Rosy Bindi, che ieri aveva definito “imbarazzante” la kermesse fiorentina. “Se uno si imbarazza – ha detto Renzi – perchè se dopo 25 anni che è in Parlamento trova un altro che riesce a portare la gente a fare politica allora gli abbiamo fatto un favore…”. Ma poi il segretario del Pd allarga il ragionamento a tutta la vecchia guardia del partito: “Non consentiremo a quella classe dirigente che ieri ha parlato di imbarazzi di riprendersi il Pd. Rispetto tutti, ma non consentiremo a chi ha detto ieri che la Leopolda è imbarazzante, a quella classe dirigente, di riprendersi il Pd per riportarlo dal 41 al 25%. Non consentiremo di fare del Pd il partito dei reduci, saremo il partito dei pionieri”. Quindi Renzi ha lanciato un avvertimento esplicito a chi ipotizza l’uscita dal Pd: “Non ho paura che si crei a sinistra qualcosa di diverso.
Sarà bello capire se è di sinistra restare aggrappati alla nostalgia o se è di sinistra capire il futuro e provare a cambiarlo”. E del resto la storia insegna che “la sinistra radicale tutte le volte che ha cercato lo strappo ha perso e fatto perdere Italia”. Tanto più che il terreno scelto dalla minoranza, la battaglia sull’articolo 18, per Renzi appartiene tutto al passato: “Di fronte a un mondo che cambia dobbiamo fare sì che ci sia un contratto a tempo indeterminato, ma il posto fisso non c’è più”. Il paragone è in classico stile Renzi: “Aggrapparsi a una norma degli anni settanta, che la sinistra non votò, è come prendere un i-phone e chiedere dove lo metto il gettone?”. Al contrario, il Jobs act significa “tutele per chi non le ha”, e la legge di Stabilità “non è una manovra elettorale ma un’operazione di giustizia sociale”. Dunque “basta con i piagnoni, rimbocchiamoci le maniche”. Regolati i conti interni, Renzi ha anche respinto l’insidia dei “gufi”, a cui la Leopolda dedica manifesti e magliette: “C’è chi, i professionisti della gufata, non vede l’ora che arrivi il nostro fallimento, ma questa sfida la vinciamo insieme e ridiamo fiducia all’Italia. I gufi al lato della strada ci vedranno arrivare al traguardo in maglia rosa”. E tra i “gufi” ha citato, in particolare, il “ceto medio intellettuale” che fa come quel pensionato che “guarda il cantiere e scuote la testa dicendo ‘non ce la fanno a finire'”.
Ma a conclusione della prima Leopolda di “governo” (che chiude con un bilancio di 19 mila partecipanti nei tre giorni e 608 giornalisti accreditati), Renzi ha assicurato che porterà a termine la sua missione: “Questo Paese va cambiato perchè è il nostro compito e la nostra responsabilità” e “se siamo al governo non è per stare lì a scaldare il posto” ma per restituire all’Italia quel ruolo che ha anche in Europa. Da qui la battaglia “in solitaria” per cambiare le regole, perchè la Ue deve “smettere di concentrarsi sull’austerità. Noi teniamo i conti in ordine, ma ricordiamo che l’Europa è nata per creare posti di lavoro”. E l’Italia merita rispetto: “In Europa rappresento un partito che ha preso più di 11 milioni di voti, un partito che che se lo metto in fila con gli altri Paesi è il nono paese dell’Ue”. Come fatto notare alla Merkel in un Consiglio Europeo: “Mi sono tolto una soddisfazione: te Angela hai preso 10,6 milioni di voti, noi 11,2 milioni. Sono cose che capitano…”. (Askanews)