Manca solo l’ufficialità, all’addio di Matteo Renzi al Partito Democratico. Crescono in fase esponenziale, infatti, gli indizi che portano all’ultimo tassello di una vendetta politica messa in atto, con sapienza democristiana, dal senatore di Scandicci dal momento in cui ha consegnato la campanella nelle mani del compagno Paolo Gentiloni, appena premiato con un posto da commissario a Bruxelles. I pezzi da novanta renziani sono tutti d’accordo: “Così non si può più andare avanti, sia per questioni politiche, che personali”. Dal vicepresidente della Camera, Ettore Rosato, al sottosegretario agli Esteri Ivan Scalfarotto, oramai si parla piuttosto apertamente dell’eventualità della creazione di gruppi parlamentari diversi (in realtà solo alla Camera, perché al Senato i regolamenti lo impediscono) in quella che viene definita una “separazione consensuale”. Che tradotta dal politichese, significa una scissione vera e propria.
La mossa renziana sta scatenando un terremoto all’interno del Pd. La scossa scuote i vertici del Nazareno convinti di avere in mano le chiavi di Palazzo Chigi, mentre con lo scenario che si sta tracciando, il rischio dei Zingaretti e dei Franceschini è quello di trovarsi ancora una volta sotto scacco del democristiano Renzi. Nicola Zingaretti trema: “Scissione? Spero di no perché un Pd unito serve alla democrazia italiana e serve alla stabilità del Governo”. Eloquente lo sfogo di Dario Franceschini, secondo il quale parlare di una separazione consensuale è “ridicolo”. Ma Renzi tira dritto. D’Altronde, non potrebbe essere certo un Franceschini a fermare l’ex premier che continua a ripetere, a scanso di equivoci, che “senza di noi non c’è governo”. La decisione definitiva potrebbe arrivare alla Leopolda, fra un mese. Per dirla con lo stesso ex segretario Pd, alla ex stazione di Firenze “sarò chiaro come mai in passato”. Ma c’è anche chi è convinto che la scissione potrebbe arrivare già nei prossimi giorni. Intanto, sarebbero pronti i nuovi gruppi renziani. Renzi potrebbe tenerli a battesimo, alla Camera e al Senato, dopo averne parlato anche con il premier Giuseppe Conte e con Luigi Di Maio.
Perché, nascerebbero non contro il governo, ma a suo sostegno, secondo fonti renziane. E sarebbero l’embrione di quella che gli stessi renziani definiscono la “separazione consensuale” dal Pd, che potrebbe dare il via (magari alla Leopolda, ma niente è deciso) alla nascita di quella che Renzi chiama una nuova “casa”, un tanto agognato partito di tipo macroniano. La creazione dei gruppi parlamentari, tuttavia, sarebbe solo un primo step, un passaggio che potrebbe portare anche all’ingresso in maggioranza di nuovi parlamentari, con cui ci sarebbero stati contatti. Alla Camera ci sarebbero già i venti deputati necessari alla nascita di un gruppo, il cui volto potrebbe essere Luigi Marattin, mentre l’ipotesi è che Teresa Bellanova diventi il capo delegazione nel governo. Ettore Rosato, invece, avrebbe un incarico di coordinamento nel nuovo soggetto politico. Al Senato, infine, solo pochi parlamentari uscirebbero dal gruppo Dem, andando a sedere – sempre in quota maggioranza – nel Misto.