Renzi ‘picchia’ su Berlusconi e lavora su numeri Senato

di Andrea Reale

Fare definitivamente a meno di Silvio Berlusconi o indurlo a rientrare nei ranghi? Nel dubbio, Matteo Renzi porta avanti entrambe le strategie. E allora ecco che da un lato prosegue il lavoro al Senato per allargare la maggioranza, mentre dall’altro gli avvertimenti all’ex Cavaliere sulle conseguenze della rottura del Patto del Nazareno diventano evidenti: accordo sul falso in bilancio nella maggioranza, ed emendamento al Milleproroghe sulle frequenze da 50 milioni euro, a carico di Rai e Mediaset. Il divorzio da Fi apre infatti problemi di numeri per l’esecutivo: sicuramente al Senato, ma anche alla Camera, dove le riforme finora hanno marciato grazie al sostegno azzurro e dove tra poco tornerà la legge elettorale, con numerosi voti segreti sul cammino della riforma. Uno scenario in cui si inserisce la minoranza Dem, galvanizzata dal ‘metodo Mattarella’ e tornata alla carica su tutti i fronti aperti: decreti attuativi del Jobs Act e della delega fiscale, riforme costituzionali, e soprattutto Italicum. L’offensiva della minoranza interna si basa sulla convinzione che “senza il sostegno azzurro, Renzi deve necessariamente cercare l’intesa con noi: altrimenti i numeri non li ha, nè al Senato nè alla Camera”.

JOBS ACT E allora Cesare Damiano insiste sulle modifiche ai decreti del Jobs Act; Vincenzo Visco, dalla cattedra del centro studi fondato con Pierluigi Bersani, spiega punto per punto cosa va cambiato nei decreti della delega fiscale; Andrea Giorgis e Alfredo D’Attorre tornano a chiedere modifiche a riforme e Italicum, soprattutto sull’entrata in vigore del provvedimento da subordinare all’ok alle riforme e sui capilista bloccati: “Ci hanno sempre detto di no perché c’era il veto di Fi, mai sul merito. Ora che Fi si è sfilata, non c’è ragione per cui non si possa raggiungere un’intesa sul merito, magari prevedendo una percentuale di eletti con le preferenze in tutti i partiti, anche in quelli che non prendono il premio di maggioranza. E a quel punto il passaggio in Senato non vedrebbe alcun emendamento”. Altrimenti “continueremo a condurre la nostra battaglia alla luce del sole”. Un atteggiamento che un renziano liquida così: “E’ la conferma che c’è un partito nel partito. Ma così finisce la legislatura…”, è l’avvertimento. E dunque l’ok rapido all’Italicum resta decisivo: “Preferiamo andare a votare se non ci sono più le condizioni politiche, non resteremo a farci logorare. E se bisogna andare a votare, meglio con l’Italicum”.

MINISTERO MEZZOGIORNO Da qui la necessità di Renzi di registrare i numeri dopo la rottura con Forza Italia. In Senato si registra ‘in chiaro’ l’apertura del premier, “in veste di segretario Pd”, che dà atto ai senatori di Scelta Civica della loro lealtà prospettandogli “un approdo comune”. Mentre dietro le quinte proseguono i contatti con i senatori del Sud che fanno riferimento a Denis Verdini: e in questa chiave va letta l’ipotesi di un Minitero del Mezzogiorno, che vedrà una donna come ministro ma magari qualche uomo come sottosegretario. Difficile che invece si possa basare la maggioranza sul sostegno degli ex M5s: “Troppo poco affidabili”, dicono dal Nazareno. Tutte ipotesi che comunque non piacciono ad Ncd: “Con i responsabili è morto il governo Berlusconi”, ricorda Lupi, che auspica invece la resurrezione del Patto del Nazareno. Ecco allora che un revival dell’accordo con Forza Italia potrebbe essere ancora il piano A di Renzi: “Chi vince in Fi se non si fanno più le riforme? Vince Fitto, e allora che fa Berlusconi, se ne va? Più facile che Berlusconi torni a votare le riforme….”, dicono dal Pd. Una lettura che è la stessa che dà la minoranza Pd: “Sono già partite le ritorsioni per ricondurre Berlusconi a più miti consigli…”.

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