Matteo Renzi non si dimettera’ da segretario prima del congresso. I renziani che in questi giorni lavorano a preparare l’Assemblea del Pd di domani, domenica 18 dicembre, in contatto con Pontassieve, si dicono certi della scelta: nessun passo indietro per anticipare il congresso e toni morbidi, salvo qualche stoccata alla minoranza interna, per rassicurare un partito in fibrillazione. In ogni caso, viene riferito, dovrebbe esserci un voto alla fine dell’Assemblea. Una ipotesi che lascia perplesso il versante bersaniano: “Si parla di voto e del rischio che non ci sia il numero legale per votare. Ma se non ci sono dimissioni e congresso anticipato, su cosa dobbiamo votare?”. In sostanza, Renzi potrebbe “prendere atto” che la minoranza Pd è contraria all’anticipo del congresso, confermare il sostegno al governo Gentiloni per permettere di ritoccare la legge elettorale, ribadire il giudizio sulla legislatura “ormai esaurita” e annunciare primarie per la scelta del candidato premier in caso di elezioni anticipate. Questa, almeno, la strategia che gli suggeriscono pezzi della sua maggioranza, in particolare franceschiniani e giovani turchi.
NUMERO LEGALE Domani all’assise – prevista la presente dell premier Paolo Gentiloni – il leader Pd parlerà dunque al partito e al Paese. E rilancerà la sua sfida. Non è ancora escluso che annunci da subito la fase congressuale. Per farlo, ci sarebbe bisogno di una deroga allo statuto e dunque in queste ore è in corso un ‘sondaggio’ tra i membri dell’Assemblea per capire se ci sarà un numero di presenze sufficienti. Ma soprattutto, spiegano dirigenti vicini al premier, “non possiamo dare ora alla minoranza un pretesto per rompere, per giunta sulle regole”. E considerato che i bersaniani chiedono un percorso congressuale fatto nei tempi previsti da statuto, si starebbe facendo largo l’idea di annunciare il congresso o le primarie ma poi indirle solo quando il quadro politico sarà chiaro, dopo la sentenza della Consulta sulla legge elettorale.
LE DATE Primarie di coalizione il 5 marzo e voto a giugno, è il percorso immaginato. Ma se si delineasse un sistema proporzionale, osserva qualcuno, una scissione del Pd sarebbe pressoché inevitabile. In ogni caso, la scelta domani sta al segretario: “Decide lui”, fanno sapere i franceschiniani. E Andrea Orlando fa capire che un congresso subito non sarebbe una buona idea: “Penso si debba parlare all’esterno e di come rilanciare il partito”. Ed è questo il primo passo che farà Renzi. Nella sua relazione, infatti, domani oltre a dover rivendicare quanto di buono e’ stato fatto nei tre anni in cui ha guidato la segreteria del partito e nei mille giorni al governo, il segretario del Pd annuncerà l’inizio di una fase di ascolto in cui Renzi girera’ il Paese per rimettere in sintonia il Partito Democratico con gli umori dei suoi elettori e iscritti. Una fase anticipata su Facebook: il segretario ha infatti interpellato i suoi follower chiedendo che cosa cambierebbero di quanto fatto sin qui, quali sono state le cose buone, quali gli errori. Le risposte sono state sul merito dei provvedimenti, ma anche sull’approccio utilizzato dall’ex presidente del Consiglio.