Renzi stoppa il dl per voto di lunedì: serviva intesa ampia. Ma si riapre fronte minoranza

Renzi stoppa il dl per voto di lunedì: serviva intesa ampia. Ma si riapre fronte minoranza
17 maggio 2016

di Giuseppe Novelli

cdm consiglioContrordine compagni, si vota solo di domenica. “Troppe polemiche”, dice Angelino Alfano nella nota con cui spiega di aver rinunciato alla sua proposta di far votare anche di lunedì sia per le amministrative, che per il referendum costituzionale, che ovviamente per tutte le elezioni a seguire. Proposta su cui Matteo Renzi non aveva particolari motivi di contrarietà, se fosse arrivata nel quadro – spiegano dal Pd – di “una riflessione ampia, condivisa da tutti i partiti, sulla necessità di contrastare la disaffezione per le urne”. E su questo erano stati avviati contatti con le altre forze politiche. Salvo poi, riferiscono dal Nazareno, trovarsi di fronte ai “rilanci” di chi chiedeva una “sanatoria per le liste escluse”, o di fronte a un clima di accuse e polemiche: sui costi ma anche sulla convenienza elettorale di una simile scelta. Che votare anche di lunedì aiutasse i candidati Pd “è tutto da dimostrare”, e lo stesso discorso si può fare per il referendum confermativo sulle riforme: “Chi lo dice che votare su due giorni avrebbe aiutato il ‘Sì’?”. Così come impatta la polemica sui soldi, anche se “votare un giorno in più non costava certo le cifre che sono circolate: molto di meno”. Ma alla fine, “il gioco non valeva la candela”, tagliano corto dal Pd. E da qui la decisione dello stop, che viene comunicata dallo stesso ministro dell’Interno che aveva proposto il raddoppio, per “non offrire il fianco ad altre polemiche pretestuose”.

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La strategia di Renzi è infatti quella di provare a uscire dalla logica “vita o morte” del governo sul referendum: “E’ il fronte del No che vuole personalizzare”, scrive nella sua e-news. E di certo una decisione che sarebbe stata letta ‘pro domo sua’ come quella di estendere al lunedì il voto, non avrebbe aiutato in questa direzione, spiegano dal Nazareno. Meglio insistere sul concetto di “un Paese più semplice” che per il premier è quello che verrà disegnato dalla nuova riforma. E per il quale “basta un sì”, come recita lo slogan della campagna lanciato ieri da Renzi. Stessa logica per le Comunali, dove Renzi cerca di uscire dall clima generato dalla sequela di amministratori Pd finiti in disgrazia valorizzando invece tutti quei sindaci che “in nome della legalità combattono ogni giorno”. A partire dal primo cittadino di Bari Antonio Decaro, da giorni minacciato di morte per la sua lotta ai clan cittadini, e che il premier incontrerà domani nel capoluogo pugliese per dire che “Antonio non è solo”. O come “il bravo sindaco” di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà, elogiato oggi nella e-news per il rilancio della città a partire dal museo per i Bronzi di Riace.

Ma sul referendum costituzionale scoppia anche un altro caso con la minoranza Dem, sul piede di guerra per chiedere subito la legge per l’elezione del nuovo Senato “in conformità alle scelte espresse dagli elettori”. E’ su questa formula, ricorda il senatore della minoranza Pd Federico Fornaro, che fu trovata “la faticosa mediazione” nel gruppo Dem di palazzo Madama. Già depositato c’è un ddl a firma di Fornaro e di altri 24 senatori Pd, e “se la legislatura terminerà nel 2018 c’è tutto il tempo per approvare la legge per l’elezione del nuovo Senato”. Un avvertimento inviato al premier dopo che il sottosegretario Gianclaudio Bressa ha fatto un riferimento ad una norma transitoria, rimandando al 2023 l’elezione del Senato secondo i criteri ricordati da Fornaro. “C’è un patto da rispettare”, ricordano dalla minoranza, proprio alla vigilia dell’assemblea dei gruppi in cui Renzi chiederà lo sforzo di tutto il partito per il sì al referendum.

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