di Enzo Marino
Una decisione ovviamente non è stata presa, ma anche la risposta data ieri da Renzi a ‘La Stampa’, “decide la Cassazione” sui tempi del referendum, in realtà lascia ampi spazi di manovra al governo. Che – legge alla mano – ha due mesi dalla pronuncia della Cassazione per approvare il decreto di indizione, con il referendum che si può tenere tra 50 e 70 giorni dopo il varo del decreto. Potenzialmente, c’è dunque lo spazio per arrivare addirittura fino a dicembre, visto che il termine per la raccolta per le firme scade a metà luglio e la Cassazione ha un mese per valutare l’ammissibilità. Chi leggendo il voto britannico parla esplicitamente di un “favore ai sostenitori del No” è Massimo Cacciari. Di sicuro l’uscita della Gb dalla Ue non sembra per ora indurre a maggiore cautele né i centristi, né la minoranza Dem. I bersaniani fanno sapere che la prossima settimana i temi posti per la Direzione Pd – rinviata causa voto britannico – saranno “comunque portati fino in fondo”. E giudicano l’intervista a ‘La Stampa’ del premier “il segno che non sembra volerci venire incontro”. I centristi invece, sempre con Cicchitto, ricordano che “al Senato non c’è una maggioranza assoluta del Pd”. Argomento tanto più valido all’indomani dello sgambetto sul decreto terrorismo, “un campanello d’allarme che non va però fatto risuonare altre volte”, secondo il parlamentare Ncd.
Soprattutto, Cicchitto aggiunge un paio di ‘suggerimenti’ al premier: rinviare il più possibile il referendum e aprire il tavolo sulla legge elettorale. “Il referendum sulla riforma costituzionale è una cosa assai seria per cui esso non va né personalizzato, né accelerato per ciò che riguarda la sua realizzazione”. Inoltre, è necessario rivedere la legge elettorale, ne serve una “diversa dall’Italicum, una legge fondata sulla coalizione”. Rinviando il referendum, peraltro, Renzi potrebbe anche rendere più complicata la nascita di un altro governo dopo di lui, anche in caso di sconfitta: tenere la consultazione a novembre inoltrato significherebbe avere il tempo di lavorare alla legge di stabilità e, appunto, di avviare un confronto sulla modifica della legge elettorale. In quel caso, anche un eventuale sconfitta al referendum potrebbe essere gestita dallo stesso Renzi, sia pure dimissionario, completando in poco tempo sia la stabilità che l’Italicum bis e rendendo meno giustificabili ‘governi di scopo’ o ‘istituzionali. Si vedrà se il premier sceglierà di accogliere questi ‘suggerimenti’, o se continuerà sulla strada dell’intervista a “La Stampa” che è piaciuta poco sia all’interno del Pd che agli alleati.