“Quello di ieri è stato un voto contro le elezioni anticipate. Al netto di incidenti di percorso, che certo nella situazione attuale non possono essere esclusi, lo scenario delle elezioni nel 2018 appare quello più probabile”. È questo lo stato d’animo che emerge tra i renziani, il giorno dopo lo stop della legge elettorale alla Camera. Certo, al Nazareno si sono presi qualche giorno, fino a dopo le comunali di domenica, per decidere il da farsi. Certo alcuni continuano a premere per cercare di forzare la mano. Ma i margini di manovra sono molto stretti. Matteo Renzi, stamani, nella rassegna stampa Ore9, non ha escluso che possa essere trovato un accordo per proseguire il percorso sulla legge elettorale, ma dicendo di non vedere grandi possibilità di successo. “Se ci sono le condizioni – ha affermato – per fare tutti insieme una bella legge elettorale, con Forza Italia e 5 Stelle, se le persone tornano a buon senso e ragionevolezza, lo vedremo nei prossimi giorni. Non sono particolarmente ottimista”. La realtà, riferisce però chi ci ha parlato in queste ore, è che al Nazareno considerano la vicenda chiusa, “anche se c’è in corso un appello al Pd da parte di Forza Italia e, in misura minore, del Movimento 5 stelle”. Sulla legge elettorale la linea è infatti quella che è “morta” perché i grillini si sono dimostrati “inaffidabili”. Resta quindi il Consultellum, le norme uscite dalle sentenze della Corte costituzionale.
Che per Renzi e i suoi sono “utilizzabili perché auto-applicanti”, magari con qualche piccola correzione da fare per decreto. Questo era il “Piano B” che Renzi aveva ritirato fuori già ieri: un dl per armonizzare le norme e andare a votare subito. Un’ipotesi subito stoppata da Sergio Mattarella. Già nella serata di ieri, infatti, il Colle aveva fatto filtrare la “preoccupazione” del Capo dello Stato per la rottura dell’accordo, anticipando che solo se si dovesse arrivare a ridosso dello scioglimento naturale delle Camere e ancora non si avesse una legge elettorale il Quirinale dovrebbe ovviamente prendere atto della questione e il tema del decreto tornerebbe di attualità. Fino ad allora quindi non se ne parla. Parole che sembrano chiudere il discorso sul voto in autunno, anche se alcuni “falchi” renziani ancora sperano di poter cogliere la “finestra” di settembre-ottobre. Le strade per far questo, accantonate le ipotesi di forzature istituzionali (cioè le dimissioni di Gentiloni) non percorribili, sono però strettissime. E allora intanto bisogna pensare al “Piano C”, cioè, appunto, al voto nel 2018, con una difficile legge di Bilancio da realizzare e su cui il Pd dovrebbe mettere la faccia. A pochi mesi dalla campagna elettorale. Per questo, per la manovra, la parola d’ordine è “sostenibile”: quindi scongiurando l’aumento dell’Iva, senza aumentare le tasse (e se possibile riducendole) e con misure per la crescita. Ieri Renzi e il premier Paolo Gentiloni si sono visti e tra i due c’è “completo accordo”, dice l’entourage del segretario. Che stamani ha ribadito il “pieno sostegno” all’esecutivo. Questo per quanto riguarda il governo. Ma sul piano politico c’è da prepararsi ad affrontare le elezioni e con le urne nel 2018 c’è tempo per lavorare sulle alleanze, per cercare di allargare il più possibile la “proposta” del centrosinistra agli elettori.
Sia sul lato sinistro (Pisapia) che su quello destro.